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Crescionda

3 Lug

Mi perdonino tutti coloro i quali sono affezionati al binomio ricetta-regione di appartenenza. Scuoteranno la testa per la mia scelta sbagliata ma ho un motivo valido: questo dolce mi è stato imposto da Anna, madre di Andrea, la quale ci delegò nel realizzarlo per la cena. Perciò ecco, in verità questo è un ulteriore ringraziamento alla famiglia B. che mi ospitò.

CRESCIONDA (almeno 10 persone)

Tempo: 40 minuti

30 minuti sono di cottura, per il resto si tratta solo di amalgamare senza prestare attenzione. Almeno, un minimo di attenzione ci vuole.

Difficoltà: bassa

Come dicevo prima: amalgama, versa, inforna. Fa tutto lei.

Costo: basso

Se vi dico che la cosa più cara sono gli amaretti è dir tanto. Ah sì, ci sta il liquore, ma quello si riutilizza anche per altri scopi.

Ingredienti

– 4 cucchiai di farina 00

– 4 cucchiai di zucchero semolato

– 4 uova intere

– 100 grammi di cioccolato fondente grattugiato

– 200 grammi di amaretti

– 500 ml di latte intero

– un bicchierino di mistrà

Le scuse che ho anticipato riguardavano il fatto che in verità questo dolce ha origini umbre e non marchigiane, venendo da Spoleto. Inoltre è un dolce che poco si adatta al periodo estivo, dato che ha origini carnevalesche. Pazienza, del resto non lo faccio per onore dell’alta cucina. Cominciamo.

Molto bene, partiamo subito dicendo che è dannatamente facile, così spavento tutti i lettori. Prendete le uova e sbattetele insieme allo zucchero, finché il composto non diventa spumoso. Prendete poi un amico e costringetelo a sbriciolare gli amaretti, nonché a grattugiare il cioccolato fondente. Andrea in questo caso è stato il fidato braccio destro.

Ora versate nel composto gli altri ingredienti in quest’ordine: latte, farina, amaretti, cioccolato. Mescolate per bene finché non sarà tutto ben distribuito. Mentre accendete il forno a 180° vi racconto come salterà fuori il dolce. Ebbene, a dire il vero che il composto sia amalgamato alla perfezione poco ce ne cale, dato che d’un tratto gli ingredienti si separeranno come l’acqua con l’olio. Gli amaretti sbriciolati andranno in superficie, sul fondo si stratificherà il cioccolato fuso e il resto del pappone sarà il dolce vero e proprio. Una piccola magia non c’è che dire, non vi sto nemmeno a spiegare perché.

Molto bene, adesso dobbiamo soltanto aggiungere il liquore. Abbiamo scelto il mistrà perché era in casa; ciò non toglie che altri distillati possano andare benissimo. Metti la sambuca, metti il Borghetti, metti quel che ti pare. Magari non i macerati come il limoncello o il nocino, il resto può andare bene. Qualcuno ci aggiunge anche dello zeste di limone grattugiato ma noi ce ne freghiamo e lo evitiamo, così il dolce non ha un sapore troppo forte d’estate, alla faccia del caldo (che non c’è stato).

Versate finalmente il composto dentro una bella tortiera possibilmente imburrata e infarinata e infornate il tutto per 30 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare, così si solidificherà. Il risultato dovrebbe essere questo più o meno.

Quel che dovrebbe venire fuori

Quel che dovrebbe venire fuori

Sì ecco, perdonate la bassa qualità dell’immagine, dovevo catturare la scena in un attimo. Suvvia, l’aspetto rustico si riflette anche nella fotografia no?

Considerazioni finali

Che dire, una ricetta paesana molto semplice ma che è risultata azzeccatissima con il clima tempestoso dei miei giorni di vacanza. Il cioccolato fa sempre tanto calore. E’ stata apprezzata, sì. Mangiatela piano, è pesante e un po’ budinosa.

Accompagnamento: mistrà

La regola è: se metti del liquore nel dolce tenta sempre di ripresentarlo come accompagnamento, se lo richiede il pubblico. Il dolce lo richiamerà a gran voce non appena lo assaggerete.

Flan

13 Apr

FLAN

Tempo: 1 ora e 15 minuti

Una preparazione rapida e semplice, una cottura leggermente più lunga.

Difficoltà: bassa

Niente di che: mescola, versa, scalda, inforna.

Costo: medio?

Dipende, se volete usare alcuni ingredienti oppure i loro rispettivi succedanei. Io direi che il costo non supera la decina di euro.

Ingredienti

– 1 litro di latte intero

– 250 ml di panna fresca

– 50 grammi di farina 00

– 50 grammi di maizena

– 250 grammi di zucchero semolato

– 5 tuorli d’uovo

– scorza grattugiata di limone

– vanillina o bacca di vaniglia

Premessa: ho trovato questa ricetta sul sito di un conosciutissimo portale italiano di cucina che ha il nome di una nota spezia costosa e del suo relativo colore. Diciamo che faccio un omaggio alla loro versione di questo dolce, il fatto è che l’ho trovato molto buono e fresco.

Ah! Gli ingredienti, che belli!

Ah! Gli ingredienti, che belli!

Prima di tutto un po’ di discernimento su questo prodotto che sembra avere origini diverse, aderire a scuole culinarie nazionali differenti e con risultati che travalicano il confine tra dolce e salato con una buona facilità. Quello che sappiamo per certo è che il termine ha una derivazione antica, risalente al Medioevo. Ciò che accomuna tutte le ricette che rientrano sotto il nome “flan” è la cremosità del contenuto, dolce o salato che sia (ad esempio in Italia è prevalentemente salato, in Portogallo si avvicina di più al pasteis). Il flan che andiamo a fare è invece del tutto dolce, a base di latte e con un deciso sapore di vaniglia, più simile ad una crostata con un budino dentro. Un budino dall’irresistibile compattezza diciamolo. Il flan è un dolce dal forte potere rinvigorente, ideale per chi fa sport e pratica una vita movimentata.

Molto bene, iniziamo la preparazione. Per prima cosa mettiamo sul fuoco i tuorli d’uovo insieme allo zucchero e cuociamo a fuoco molto basso. Gioco forza sarà rallentare la cottura delle uova, in favore della caramellizzazione dello zucchero. Il risultato dovrebbe essere un composto omogeneo, molto morbido e chiaro. Una volta prodotta una cosa simile alla foto qui sotto, andiamo ad aggiungere la farina e la maizena, ben setacciate (sennò si formano i grumi e noi non lo vogliamo).

Io che mescolo le uova che si mescolano allo zucchero che si mescolano al teflon della pentola

Io che mescolo le uova che si mescolano allo zucchero che si mescola al teflon della pentola

Nota: data la forte presenza di ingredienti secchi in questa fase, potrebbe capitare di produrre un composto dall’alternativa forma sferoidale, con irresistibili tendenze solide. Dato che la ricetta non considera questo risultato quale punto ottimale di arrivo per la fase attuale, potete aggiungere un po’ di albume e tornare perciò alla consistenza morbida.

Bene, adesso aggiungiamo a filo il latte e la panna, i quali produrranno un incantevole aroma che tanto ricorda le energie mattutine. Una volta ben sciolti gli ingredienti, grattugiamoci dentro la buccia di limone ed aggiungiamo la vanillina. Per chi ama i sapori naturali ed ha passione per gli ingredienti non trattati, consiglio di usare limoni di Sorrento e di sostituire alla vanillina una bacca di vaniglia, opportunamente incisa. Avremo infine una cosa così.

L'incantevole composto

L’incantevole composto poco composto

Adesso, mantenendo il composto sul fuoco, mescoliamo continuamente senza sosta finché il tutto non si raddensa (una ventina di minuti circa). Spegniamo ora il fuoco, prendiamo la pasta sfoglia e stendiamola dentro una bella tortiera, meglio se alta e stretta. Una da 24 cm andrà benissimo. Punzecchiamo con i rebbi di una forchetta la pasta e adagiamoci dentro il composto. Ah, una nota per quegli adorabili buontemponi dei naturisti: togliete la bacca di vaniglia prima di versare.

Il cremoso finale prima dell'infornata

Il cremoso finale prima dell’infornata

Inforniamo a 170° per circa 60-65 minuti. Facciamo ben attenzione perché la superficie tenderà a brunirsi molto molto in fretta. Soluzione: teniamolo sul ripiano più basso del forno e, nel caso questo continui a scurirsi, attiviamo la cottura solo sulla griglia inferiore per una decina di minuti. Insomma, stateci dietro, non uscite di casa a fare shopping nel frattempo. Quando sarà cotta sfornatela ma non sformatela, deve riposare e soprattutto compattarsi (ricordate che alla fine è un budino). Una volta raffreddata, mettetela in frigo a sedimentare. Tempo gente, ci vuole tempo.

Ecco il risultato finale. Trovate le differenze nella qualità dell'immagine rispetto alle precedenti

Ecco il risultato finale. Trovate le differenze nella qualità dell’immagine rispetto alle precedenti

 

Considerazioni finali

Il flan francese è una ricetta dal marcato sapore di latte e con una simpatica presenza scenica, dal deciso color del grano. Il suo profumo di vaniglia è l’ideale per chi vuole iniziare una giornata con il sorriso. E’ un dolce di sicuro impatto su chi vuole ingrassare nutrire lo spirito e avere energia per le proprie scorribande quotidiane. Con la sua marcata scioglievolezza, il flan è un goloso espediente per fermarsi durante il pomeriggio ad assaporare un po’ di Francia e concedersi un momento di tranquillità. Potete servirlo con una spumosissima panna montata o del profumoso cioccolato fondente fuso.

Accompagnamento: purga    idraulico liquido     soda caustica      niente

E niente, non si accompagna a niente. Punto.

Torta degli angeli

1 Apr

Io, che non amo molto gli anglicismi soprattutto quando so esistere un corrispettivo lessicale in italiano, ho deciso di preparare un dolce d’oltreoceano. Sarebbe come tirarsi la zappa sui piedi da soli, però ho un alibi: dovevo fare di necessità virtù dato che a tavola a Pasqua abbiamo una persona vegetariana, una intollerante ai latticini e una allergica al lievito (sia chimico che naturale). Non potevo fare altro che questo, oppure non fare decisamente il dolce e proporre del semplice vino (che ho preso comunque, crepi l’avarizia).

TORTA DEGLI ANGELI

Tempo: 1 ora e 15 minuti

Semplice, rapido, leggero. Figata. 1 a 0 per la torta.

Difficoltà: molto bassa

Vi dico solo che la parte più difficile sta nel dividere gli albumi dai tuorli. Che vi basti come difficoltà. 2 a 0 per la torta.

Costo: molto basso

Anche in questo caso, la cosa più costosa sono le uova. 3 a 0 per la torta.

Ingredienti

– 12 albumi d’uovo (sui 400-450 grammi)

– 250 grammi di zucchero a velo vanigliato

– 150 grammi di farina per dolci

– bacca di vaniglia (o una bustina di vanillina)

– cremor tartaro (o lievito chimico)

– un pizzico di sale fino

Prima di spiegarvi la ricetta vi propongo il solito pappone storico, perché non sia mai che si dica in giro che faccio ricette senza cognizione di causa. Bene, dovete sapere che l’Angel food cake o italianizzato Torta degli angeli è un dolce di largo utilizzo americano ma di derivazione totalmente anglosassone. Intatti apparve per la prima volta in un libro di cucina che si chiama Boston Cooking-School Cook Book (bello scioglilingua con tutte quelle O), uscito alla fine dell’800 e punto di riferimento della cucina inglese per il secolo successivo. Diciamo che chi lo scrisse (tale Fannie Farmer, una cuoca provetta di professione) ha davvero rivoluzionato la cucina anglosassone, introducendo quell’importante metro che sono le unita di misura: livelli, cucchiai (spoons) e tazze (cups) che sono anche l’attuale sistema utilizzato nei paesi anglofoni. Insomma, prima in Inghilterra si faceva un tanto al chilo, dopo la Farmer tutti a guardare la bilancia. Non solo, Fannie Farmer con il suo best-seller ha introdotto anche le casalinghe inglesi al concetto di procedimento chimico di trasformazione degli alimenti, quindi a cose come l’importanza del tipo di farina, l’indice W di agglutinamento e tante cose bellissime che a noi adesso sembrano ovvie ma che all’inizio del secolo scorso erano novità assolute.

Questa introduzione è importante per capire quanto la torta degli angeli in verità sia un esempio cruciale di tutte quelle belle notizie, laddove si porta esempio pratico delle proprietà principali degli alimenti utilizzati. Facciamo così, ve lo spiego man mano che procedo con la ricetta; sappiate solo che la regola fondamentale è: niente grassi.

Prima di tutto facciamo attenzione agli utensili: una ciotola (meglio se in acciaio o in vetro, le vendono bellamente a basso costo in un famosissimo negozio il cui nome inizia per IK e finisce per EA ma io non l’ho detto), una frusta/sbattitore elettrico, una spatola larga o un cucchiaio grosso in acciaio. L’importante è che questi oggetti siano ben lavati, ben asciugati e assolutamente privi di qualsivoglia detergente. Insomma, non passateci il Nelson Piatti o lo Svalto (volutamente modificati, ndr) alla leggera, strofinate bene e risciacquate. E’ necessario poi che gli albumi siano perfettamente separati dai tuorli, pena la presenza invadente di grassi. Ancora una cosa, setacciate bene le polveri (o ingredienti solidi che dir si voglia), sennò vengono i grumi. Ok, adesso inizio davvero.

Prendiamo gli albumi e iniziamo a montarli a neve. Non appena cominciano a diventare bianchi e spumosi, aggiungiamo il cremor tartaro, che è un importante stabilizzante per la montatura dei bianchi. Digressione: il cremor tartaro è sostanzialmente un acido, grande sostituto del lievito (per chi ne fosse allergico o intollerante) che agisce sostanzialmente sulla struttura dell’uovo, stabilizzandone il gonfiore producendo anidride carbonica (CO2, fondamentale  effetto di ogni lievito). Dopo qualche minuto aggiungiamo lo zucchero a velo e la vanillina. Non facciamolo in una volta sola, prendiamoci il tempo di setacciare le polveri e inglobarle poco alla volta. Possiamo usare la frusta elettrica come quella manuale o, ancor meglio, la spatola. Anche lo zucchero come il cremor tartaro andrà a dare stabilità al composto che, a questo punto, sarà fortemente aumentato di volume, presentando un dolce aspetto colloso stile marshmallow.

Così dovrebbe venire

Così dovrebbe venire

A questo punto fermiamo le macchine elettriche e aggiungiamo, sempre setacciati e ad intervalli di 3-4 volte, la farina e il sale. Usiamo questa volta la spatola per evitare di sgonfiare il composto, facendo movimenti circolari dal basso verso l’alto. La montagna bianca a questo punto cambierà leggermente forma, compattandosi e diventando maggiormente collosa. Cosa succede? Le proteine della farina si uniscono a quelle degli albumi trasformandosi in glutine. Nota bene: usiamo la farina per dolci (ad esempio la manitoba, con un indice W più alto) perché più elastica, tendente a creare un composto più leggero e arioso. Molto bene, amalgamiamo il tutto e lasciamo fermo il composto.

Il composto dentro lo stampo (con carta da forno)

Il composto dentro lo stampo (con carta da forno)

Adesso prepariamo lo stampo. In verità la ricetta “classica” prevede l’utilizzo di uno stampo particolare, una specie di ciambella molto alta e larga sui 24 cm (uno stampo classico da torta occidentale) in acciaio, il quale non andrebbe affatto imburrato (burro = grassi), al massimo foderato con della carta forno. Nel caso non aveste questi materiali, uno stampo qualsiasi va bene, ricordate solo che l’Angel cake aumenta di volume (le uova e l’anidride carbonica, colpa loro). Versate insomma il composto nel vostro stampo e infornatelo per 40-50 minuti a 180°, il forno deve essere già a temperatura, ricordate.

La torta cotta

La torta cotta

Ultima cosa: una volta sfornato il dolce è importante che questo venga capovolto, anche con tutto lo stampo, per evitare che la torta diventi collosa. Una volta raffreddato, staccate infine il dolce aiutandovi con un coltello da far passare rasente le pareti interne della cerniera. Sarà molto semplice, verrà quasi via da sé.

Considerazioni finali

Un vero trionfo della chimica, non c’è che dire. Il risultato è un dolce davvero morbido, completamente privo di grassi (se abbiamo fatto attenzione) e molto gustoso. Spolverato con dello zucchero impalpabile poi è la morte sua. Dovrebbe essere il dolce perfetto per ogni tipo di intolleranza (a meno che voi non siate celiaci, in tal caso si può sostituire la farina normale con quella di riso, nonostante io non assicuri il risultato), nonché un’ottima alternativa al classico pan di spagna come base per dolci più complessi.

Il cremor tartaro può essere sostituito ampiamente con una serie infinita di agenti lievitanti, da quelli naturali (lievito di birra, secco o fresco) a quelli chimici (lievito atomico, classico vanigliato), sino ad arrivare al semplice bicarbonato di sodio (che tra l’altro è uno degli ingredienti del cremor tartaro), magari attivandolo con un cucchiaino di aceto di vino. Sbizzarritevi, è rapido e d’effetto, anche per il suo candore. Del resto perché mai si potrebbe chiamare torta degli angeli?

Torta degli angeli

Torta degli angeli

Accompagnamento: pignoletto frizzante

Un buon bicchiere di vino dolce (ma non troppo) può stemperare la tensione soffice del dolce, aggiungendo quel tocco frizzante che, diciamocelo, non guasta mai.

Giusto qualche link utile:

-per lo stampo tipo americano

– per sapere qualcosa sul testo inglese di riferimento

– per sapere qualcosa su chi ha scritto il libro

Torta di semolino

4 Mar

TORTA DI SEMOLINO

Tempo: 2 ore o poco meno

La maggior parte del tempo verrà occupata dal tempo di riposo della frolla, per il resto la preparazione è rapidissima.

Difficoltà: bassa

Qui si tratta solo di mettere assieme tre composti diversi (frolla, pappa di semolino e copertura), una semplice stratificazione che – al massimo – richiederà una punta di rapidità nel lavorare il semolino caldo.

Costo: medio-basso

Penso che la cosa più costosa qui sia la ricotta che mantiene comunque prezzi contenuti. Il resto è tutta materia prima che un cuoco abituale ha in casa. A parte il semolino forse.

Ingredienti

Per la frolla:

– 125 grammi di farina 00

– 75 grammi di burro

– 100 grammi di zucchero semolato

– 3 tuorli d’uovo

– un pizzico di sale

– zeste di limone

Per la pappa di semolino:

– 125 grammi di semolino

– mezzo litro di latte intero

– 200 grammi di zucchero semolato

– buccia di mezza arancia

– 350 grammi di ricotta fresca

 

Ah, il semolino! Direi che questo prodotto è un buon discrimine che allontana la mia generazione dal quella dei miei genitori. Oggi lo si usa poco (pochissimo) ma un tempo la cucina tradizionale era solita utilizzarlo come materia prima di sostentamento. In verità tutt’ora utilizziamo la semola nella produzione classica, essendo questa null’altro che la farina derivata dal grano duro (mentre si usa il termine generico di farina per indicare quella classica di grano tenero). Il semolino deriva sostanzialmente da un’ulteriore macinazione della semola, riducendone pertanto la sgranatura (la grandezza del chicco).

La ricetta che vi propongo oggi è di derivazione toscana, prevede l’utilizzo del semolino come principale protagonista della farcitura, arricchita da alcuni elementi aromatizzanti, come la buccia d’arancia. Infine, è possibile fare una copertura della torta di semolino, a vostro completo piacimento.

Torta di semolino

Torta di semolino

Bene, cominciamo dalla frolla. La preparazione della base è molto semplice: uniamo farina, zucchero, sale, burro e la buccia di limone, impastando sfarinando il composto fino a giungere ad uno sbriciolato (un po’ come proponevo in chiave diversa qui). Adesso aggiungiamo i tuorli e impastiamo fino a creare la classica palla gialla e compatta. In verità questa volta il burro non sarà un potentissimo collante, lasciando il composto leggermente più ruvido e tendente a disgregazione. Il risultato sarà però una frolla delicata e farinosa. Adesso incartiamola nel cellophane e riponiamola in frigorifero per un’ora, deve riposare.

La pappa di semolino invece non ha bisogno di riposo, anzi, deve essere fatta abbastanza in fretta, sennò il semolino cotto si rapprende e diventa un pezzo di marmo, compromettendo la delicatezza della farcitura. Insomma, non vorrei mai vedervi costretti a passare il semolino nel passapomodori per sgranarlo. Attendiamo pertanto una mezz’ora, quaranta minuti e poi iniziamo a fare la crema. Mettiamo sul fuoco il latte a fiamma moderata, prendiamo a parte la ricotta e mescoliamola allo zucchero, al quale va poi aggiunta la buccia di arancia. Quando il latte sta per bollire, mettiamoci dentro il semolino e mescoliamo in fretta. Questo assorbirà rapidamente tutto il latte e si indurirà leggermente. Continuiamo a mescolare energicamente fino a che il composto non inizierà a staccarsi dalle pareti del pentolino. A questo punto leviamolo e, ancora caldo, versiamolo sulla ricotta “arricchita”. Mescoliamo nuovamente e lasciamo leggermente riposare.

Stendiamo la frolla ad un’altezza pari a 6-7 millimetri, soprattutto se, come me, utilizzate una classica teglia tonda da 26 cm di diametro. Nel caso ne usaste una più piccola (per ottenere un dolce più alto), alzate la frolla a un centimetro. Ricordate però che, a tortiera più piccola corrisponde cottura più difficoltosa soprattutto al centro del dolce. Bene, dopo aver steso la frolla versateci sopra il composto di semolino, livellate per bene e mettete in forno a 160-170° per 45-50 minuti.

La copertura. Ricordo che io feci una classica stratificazione di cioccolato, una cosa semplice. Per questo basta prendere 200 grammi di cioccolato e 100 ml di panna fresca, sciogliere il cioccolato, metterci sopra la panna calda e mescolare. Questa specie di ganache va messa sul dolce raffreddato e lasciata solidificare per un’oretta. Poi ecco, potete mangiarla!

Accompagnamento: pensieri sparsi

Non me la sento di accompagnare questa torta a qualcosa da bere, non ha senso, soprattutto per come è scaturito il ricordo. Il semolino rappresenta per me la tradizione, il calore della casa e un passato indefinito che in qualche modo mi dà sicurezza. Placida tornava a casa e trovava la mamma con la torta pronta; io in qualche modo faccio lo stesso.

Considerazioni finali

Come avete visto non c’è nulla di difficile nel dolce, basta un po’ di velocità. Il semolino è un prodotto dal gusto non troppo acceso che ben si presta a fare da legante tra altri elementi, come in questo caso la buccia d’arancia e la copertura di cioccolato. Oltretutto, data la trasmissibilità di sapori del semolino, consiglio di non eccedere troppo negli aromi, a meno che non siate degli amanti di qualche particolare elemento. Ad esempio, io consiglio di mettere lo zeste di mezza arancia e non una intera, proprio per non accentuarne troppo la presenza. La frolla no, copre tutto, il limone si sentirà ma mica tanto. Un’ultima cosa: come dicevo la copertura è a piacimento, ad esempio si può fare qualcosa con la frutta secca, delle noci sarebbero l’ideale per dare un po’ di croccantezza (magari sostituite l’arancia con altro, che so, una goccia di aroma di mandorla oppure delle mandorle sbriciolate nell’impasto). Ci sono diverse varianti da provare. Se avete idee proponete!

Scontato!

9 Dic

Dopo un paio di mesi torno a scrivere di cucina. Due le domande. Perché hai deciso di andartene? La prima risposta è semplice: non avevo nulla da dire, niente che significasse qualcosa di sufficientemente personale ma non troppo condivisibile; e poi ho lavorato molto, ho fatto e disfatto, ahimè lontano dai fornelli. Bisogna sacrificare qualcosa ma non è mai per sempre.

La seconda domanda sorge altrettanto spontanea, perché hai deciso di tornare? La risposta è molto simile alla prima, torno ad avere qualcosa da spiegare. Questa volta però non lo faccio con spirito di condivisione, bensì come risposta ad un affronto perpetrato a lungo, sottile e muto, un coltello che non ha riflesso la luce e si è avvicinato al buio, punzecchiandomi.

La verità è che mi sono reso conto di essere molto ripetitivo, lento e prevedibile. In altre parole, risulto scontato. Non solo ciò che faccio viene comunicato più velocemente delle mie stesse azioni, ma  altrettanto disarmante è il fatto che i miei discorsi sono una serie di “già detto”, “già fatto” e “già visto”. Mi sembra di camminare talmente lento da farmi superare persino da me stesso, se solo ne fossi capace.

Scrivo apposta questo articolo, dedicandolo ad un dolce classicissimo e, come me, scontato. Per farvela sotto il naso, ci aggiungo una serie di accorgimenti che renderanno il risultato migliore del solito, augurandomi e minacciandovi: un giorno saprò raccontarvi cose che nessuno di voi si sarebbe aspettato.

TORTA DI MELE

Tempo: 90 min.

A farla ci vuole niente, a cuocerla invece perderete tempo. Meglio, il vostro forno perderà tempo, dato l’elevata quantità di mele e quindi il copioso rilascio di succo. Potrete terminare la cottura in anticipo, ma ve lo spiegherò dopo.

Difficoltà: 3 su 10

Più facile di così non esiste, bisogna mettere quasi tutto assieme. State attenti a sbucciare solo le mele e non le vostre dita.

Costo: basso

Le mele costano poco, soprattutto dato che si sta parlando di torte invernali e la frutta in questione è sostanzialmente di stagione in periodi freddi. La farina si compra così, con meno di un euro.

Ingredienti

– 125 grammi di burro

– 250 grammi di farina 00

– 2 zeste di limone

– 125 grammi di zucchero

– 3 uova

– 150 ml di latte

– 1000 grammi di mele (a vostra scelta)

– una pera kaiser

– lievito per dolci

– cannella in polvere

– zucchero di canna

– vanillina

– un pizzico di sale

Molto bene, iniziamo. La base è facile facile, mettete assieme burro, zucchero, uova, vanillina e sale. Sbattete forte finché non ne uscirà un composto piuttosto grumoso (è il burro, sappiatelo). Non allarmatevi, è così che deve venire per ora.

A questo punto aggiungete la farina al composto, alternandola al latte. Infine aggiungiamo la buccia grattuggiata dei due limoni, altresì detti zeste, e il lievito per dolci. Il risultato finale sarà una specie di crema piuttosto appiccicosa, l’ideale colla per tenere insieme le mele. Diciamola tutta: qui la base è un gran bel pretesto per far stare in un posto solo una quantità imbarazzante di frutta.

Infatti adesso ci tocca il lavoro duro: arrotoliamo le maniche, laviamoci le mani e cominciamo a sbucciare le mele, privandole pure del torsolo centrale. Attenzione, tenete da parte 3-4 semini interni, ci serviranno dopo. Sbucciate anche la pera e tagliate tutta la frutta a lamelle o a pezzetti abbastanza piccoli. Più sono minuscoli e prima si cuoceranno. Sbattete ora mele e pera nel composto colloso, dateci dentro con le braccia e mescolate, mescolate, mescolate. Infine, metteteci dentro anche i semini di mela.

Imburrate una teglia di 28 cm di diametro (bella larga, così cuoce meglio), infarinatela e versateci il composto. Cospargete la superficie di zucchero di canna e cannella in polvere. Non tanto, solo per dare colore. Ora infilatela in forno a 180° per un minimo di 60 minuti. Voilà, è pronta.

Torta di mele

Torta di mele

 

Considerazioni finali

Seppur non visibili, questa ricetta è piena di minuscoli accorgimenti che la rendono speciale. Mo ve li dico:

– scelta delle mele: è imbarazzante andare al supermercato e vedere chilometri di ceste piene di quaranta tipi di mele diverse. Io ve ne indico solo una, la renetta. E’ dolce, di mede dimensioni, dalla pelle ruvida, porosa e giallastra, tendente al marrone chiaro. Risulta dolcina ma non troppo e soprattutto si scioglie molto in fretta.

– le pere: per esaltare il sapore pastoso della mela, ci serve qualcosa che la contrasti ed ecco arrivare in nostro aiuto una bella pera. Ho scelto la kaiser perché è molto farinosa, corposa nella dolcezza e poco compatta. Come la renetta, si scioglie facilmente e irrora tutta la torta del suo sapore. Fatene buon uso, potete anche non metterla se non vi piace. Comunque sia, provate sia con che senza, mi direte.

– i semini: il vero gioco forza della torta sta nel profumo che invaderà casa. Allora se dobbiamo fare le cose, che almeno siano fatte per bene. I semi di mela sono una vera bomba in questo caso, ne bastano pochissimi nell’impasto e tutto il condominio annuserà il piacere di una buona torta di mele. La casalinga che è in me già gongola.

– tempi di cottura: come dicevo prima, cuocere la frutta è difficile, ci vuole molto tempo e tanta pazienza affinché il resto dell’impasto non bruci. Perciò alcuni accorgimenti, come aumentare il diametro della tortiera, oppure tenere una temperatura del forno più bassa per tempi prolungati, coprire la superficie con della stagnola se vediamo che imbrunisce troppo in fretta, tagliare la frutta in pezzi molto piccoli prima di metterla nell’impasto; insomma, cose così.

– croccante e saporito: vi ho fatto mettere cannella e zucchero sulla superficie. Alla fine della cottura avrete una bella superficie caramellata, sufficientemente dura da fare un bel contrasto con la soffice pasta interna. Inoltre la cannella dà quel sottile retrogusto secco-amaro che sta bene con il dolce della mela.

Accompagnamento: tè affumicato

Mi piace pensare che il contrasto sia una chicca in cucina. Vi propongo perciò di bere un tè affumicato sul legno di qualche albero particolare, tipo l’albicocco, che tanto fa strano. In commercio non ne esistono in bustina, vi sfido perciò a trovare un rivenditore di tè sfusi, sicuramente lì ne troverete una variante.

Torta agli amaretti

5 Set

Come annunciato, questa è la ricetta di mia nonna Giuditta. E’ sostanzialmente un classico intramontabile, semplice, gustoso senza essere stomachevole. Ogni volta che mia nonna la cucinava per le feste patronali era un successo a Scaldasole.

Torta agli amaretti - Il protagonista

Torta agli amaretti – Il protagonista

Tempo: 80 minuti

Veloce, molto veloce. Anche i tempi di cottura sono ridotti. Vedrete.

Difficoltà: bassa

Come ogni torta classica che si rispetti, è semplice e rapida. Pochi ingredienti, questa volta arricchiti dal cioccolato e dagli amaretti.

Costo: medio-basso

Meno di una decina di ingredienti, tutti di facilissima reperibilità.

Ingredienti

– 150g di zucchero semolato

– 150g di farina tipo 00

– 100g di cioccolato fondente

– 200g di amaretti

– 4 uova

– 200g di burro a temperatura ambiente

– una bustina di lievito vanigliato

Cominciamo. Prendete il burro e tagliatelo a dadini. In verità potreste anche tagliarlo a pezzi grossolani, oppure pigliarlo intero ma anche intagliare il panetto a forma di panda; vi dico, più piccoli sono i pezzi e più facilità avrete nel lavorarlo. Unite lo zucchero e sbattete il composto fino a trasformarlo in crema. Separate ora i tuorli dagli albumi ed unite i primi al composto, uno alla volta, impegnandosi nel farli assorbire per bene dalla crema di burro. A questo punto sbriciolate gli amaretti e grattuggiate il cioccolato fondente. Certo, grattuggiare una tavoletta di cioccolato non è semplicissimo, vi si potrebbe squagliare in mano in due secondi. Poco male, troviamo il metodo alternativo: rompiamo la tavoletta in pezzi grossolani, prendiamo il coltello a lama sottile più grande che avete e, tenendo ferma la punta con il palmo della mano cominciamo a sminuzzare il cioccolato. Basteranno pochi secondi, se riuscite a non spargerlo fuori dal tagliere.

Torta agli amaretti - Gli ingredienti

Torta agli amaretti – Gli ingredienti

Uniamo il nuovo grattuggiato al composto assieme agli amaretti e mescoliamo per amalgamare. Il nuovo insieme sarà parecchio duro, lavoriamo di gran lena e prepariamoci ad avere un po’ di male alle braccia. Come se non bastasse, ora uniamo anche la farina setacciata. Possiamo lavorare il composto con le mani adesso, avrà la consistenza della pasta da biscotto. Per rendere più morbido il tutto, montiamo gli albumi a neve fermissima e mescoliamolo al composto. Non troppo forte o gli albumi di smonteranno.

Imburriamo una tortiera da 24cm di diametro (o 26, dipende da quanto la vogliamo alta), infariniamola, ficchiamoci dentro il composto, livelliamolo e mettiamolo in forno a 160° per una quarantina di minuti. La torta, una volta sfornata, va fatta raffreddare per bene.

Considerazioni finali

Facile vero? Non c’è nulla di complesso in questa preparazione. E’ semplice anche nella cottura, nessuna umidità

Torta agli amaretti - La fetta finale

Torta agli amaretti – La fetta finale

aggiuntiva rispetto a quella che c’è già in forno. Rimane piuttosto friabile, soprattutto la crosticina che si forma a cottura ultimata. Da servire rigorosamente per le occasioni tra buoni amici senza troppe pretese di raffinatezza. Mi rendo conto sia un dolce invernale, ma gli omaggi alle persone speciali non hanno davvero tempo.

Accompagnamento: malvasia

Un vino liquoroso molto saporito, che ben si accompagna alla dolcezza dell’impasto.

La più bella del reame

22 Ago

“Il re, dopo qualche anno, prese un’altra moglie: era bella, ma superba e prepotente, e non poteva sopportare che qualcuno la superasse in bellezza. Ella aveva uno specchio magico, e nello specchiarsi diceva:

– Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella? –

E lo specchio rispondeva:

– Nel regno, Maestà, tu sei quella – “

Biancaneve inizia quasi subito con queste parole. La regina muore dopo dieci righe e con la semplicità di un “e quando nacque [Biancaneve], la regina morì”; la matrigna entra subito in scena con le sue famose sentenze in rima, nella versione di Einaudi qui liberamente presentata (di cui lasciamo dettagli in fondo come sempre), un po’ diversa dal classico specchio delle brame, dal carattere più gotico.

Psicologicamente questa immagine è fortissima ed evocativa. Se non andiamo ad analizzare lo specchio come l’oggetto magico dell’antagonista ma piuttosto come un altro da sé del cattivo di turno, allora abbiamo una chiave di lettura davvero singolare. La neo-regina, la nostra matrigna, in realtà chiede vanitosamente a se stessa chi sia la più bella del regno, sa già quale sarà la risposta. Continuerà così per anni ed anni a crogiolarsi nelle sue convinzioni. Il testo originale parla di “una volta che la regina chiese allo specchio”, senza troppo specificare quanto tempo dopo. Ecco il dramma, la situazione cambia, qualcosa si spezza e qualcuno le dimostra che, tutto sommato, si è adagiata per troppo tempo sugli allori e la bambagia comincia ad infeltrire. Biancaneve cresce e rivela di essere in qualche modo migliore della regina ma, attenzione, secondo i canoni che la matrigna designa come prioritari. Ciò che è importante per la regina è essere bella, mica essere scaltra e infatti Biancaneve la supera sicuramente in bellezza, ma saprà contrastare il male con altre doti che la matrigna non aveva preso in considerazione. Il candore porta il cacciatore ad avere pietà della ragazza, i nani la aiuteranno a salvarsi dalle inside dei sotterfugi architettati dalla matrigna en travesti (la stringa di seta, il pettine avvelenato, guarda caso tutti vezzi di bellezza, pura apparenza), il vero amore saprà risvegliarla dal lungo sonno della bella mela avvelenata. La regina, accecata dal desiderio incontenibile di essere la più bella, soccomberà all’avanzare di un essere più completo. Insomma, la morale è che il male può sì giocare sporco, ma avrà una e solo una qualità che lo contraddistingue dagli altri; il bene, invece, gioca secondo regole precise perché è più complesso, completo, sfaccettato.

Su questo mi sono interrogato, su quanto sia difficile guardarsi allo specchio mentre si insegue una sola, lontanissima chimera che tanto tempo fa ci diede l’impressione di farci sembrare migliori di altri. Adesso, a scenario cambiato, ancora usiamo lo stesso metro di valutazione, ciechi di fronte al cambiamento ed a ciò che ci circonda. Guardiamo il mondo attraverso lo specchio dei nostri occhi, spesso non siamo in grado invece di passarci attraverso e guardare il bosco fitto di profumi e di sensazioni che la matrigna aveva davanti. Noi come lei, obnubilati da un solo elemento, rischiamo di perdere il treno e vedere il nostro castello di carte crollare. Io stesso, che ho visto interi castelli bellissimi da me costruiti collimare al suolo senza far nessun rumore che potesse far accorrere i soccorsi, mi ritrovo a costruire su terreni più solidi ma soprattutto con materiali diversi, più duraturi. Non è mica semplice capire che possiamo bramare altro e che questo altro sta oltre lo specchio che ha riflettuto per noi un’immagine troppo statica, ormai superata. Siamo stati la più bella del reame. Non possiamo più esserlo? Benissimo, potremmo trasformarci nella più brava del reame, nella più simpatica del reame, nella più fedele del reale, perché no, anche nella più carina del reame. Magari tutte queste cose assieme, risultare migliori ai nostri occhi e imparare che, ogni tanto dobbiamo avere un metro di paragone diverso da noi stessi.

Io ho guardato attraverso lo specchio, l’ho attraversato e mi sono ritrovato in un sottobosco profumatissimo, pieno di sensazioni nuove e là mi aspettava questa torta. Una base classica, leggermente rivisitata, con un cuore dolce e allo stesso tempo fresco, che richiama i colori della terra ed alcuni frutti che il bosco può offrire e che a me ha porto, perché ho ascoltato. Questa torta non è di certo la più bella del reame, ma può esserne la più facile e la più dolce.

PANDISPAGNA ALLA CREMA DI MORE

Tempo: 10 ore

Aaaaaaargh! Mi sono rovinato con le mie stesse mani! Adesso avete letto quanto ci vuole per farla e non la vorrete più provare. “Ma chi ha 10 ore per fare una torta?!” vi starete chiedendo. Vi prego non desistete, si tratta solo di un tempo di attesa prolungato per il raffreddamento del pan di spagna. In verità la ricetta è velocissima e semplice tanto quanto bere un bicchier d’acqua.

Difficoltà: molto bassa

In verità qui si tratta solo di montare. Sì, avete capito bene, montare. Armatevi di frusta elettrica e preparatevi a veder crescere sotto i vostri occhi una crema densa e dannatamente affascinante. No davvero, credetemi, non fate quella faccia da scettici!

Costo: basso

Qui l’unico ingrediente che costa sono le more, ma non spaventatevi, il resto è tutto in discesa.

Ingredienti

Per il pan di spagna:

– 2 uova intere

– 6 tuorli freschi

– 12og di farina OO

– 140g di zucchero semolato

– 40g di cacao amaro in polvere

– 50g di fecola di patate

Per la crema di more:

– 250g di mascarpone

– un uovo intero

– 75g di zucchero semolato

– 600g di more

Iniziamo la preparazione. Come annunciavo precedentemente, il dolce in questione è di una facilità che farebbe impallidire pure uno che non sa mettersi nemmeno su il caffè. Perché? Ve lo spiego subito. Il pan di spagna è un dolce che si prepara praticamente da solo, avete bisogno di un frustino elettrico e siete praticamente a posto. Ci sono mille varianti certo, io vi propongo la ricetta base con l’aggiunta di un po’ di cacao, per rendere più sfizioso il tutto. Non sto qui a raccontarvi cosa sia il pan di spagna, da dove derivi, le varianti create… anzi sì, ve lo racconto ma dopo, quando stiamo aspettando per la cottura, così avete qualcosa da fare.

Pan di spagna al cacao - Ingredienti per la base

Pan di spagna al cacao – Ingredienti per la base

Dicevamo, mettiamoci all’opera. Prendiamo le uova intere e mettiamole in una terrina MOLTO capiente. Dico molto perché il composto si gonfierà parecchio. Insomma, apriamole lì dentro e mettiamoci assieme lo zucchero. Ora, cominciamo a montare per lunghissimi 20 minuti. So che è un tempo piuttosto lungo ma è piacevole vedere la crema formarsi, schiarirsi, gonfiarsi a dismisura e compattarsi. Ah, la magia delle uova e dello zucchero assieme! Vedrete vedrete. Ok, a montaggio ultimato prendiamo i sei tuorli ed uniamoli al composto che si scurirà un po’ ma… magia, non si sgonfia mica! L’unica cosa che farà sarà addensarsi ulteriormente e diventare soffice, spumoso, delicato. Che bello guardare questo portento che gonfia, gonfia, gonfia… ve l’avevo detto di usare una terrina grande! Non dite che non vi avevo avvertito. Adesso per punizione continuerete a montare per altri 15 minuti, ben vi sta.

A punizione ultimata potrete unire gli ingredienti secchi. Mi raccomando, setacciate per bene tutto o vi si formeranno dei grumi grossi come blatte d’appartamento. Parlare di insetti in cucina fa tanto esotico ma penso proprio di avervi spaventato abbastanza tanto da farvi diventare per un attimo accorti. Bene, aggiungiamo il tutto e mescoliamo dal basso verso l’alto con l’aiuto di una spatola per non smontare il tutto. Ora, piccola digressione: ho notato che nelle ricette a creme montate ci si raccomanda sempre di non smontare il composto mescolandolo piano, senza però specificare con che lentezza. Signori, vi prego, non è un soufflé ne abbiamo messo della nitroglicerina nel composto. Se muovete la spatola come fate con un buon ragù non avrete danni, state sereni. Certo, se iniziate a sbattere la terrina sul tavolo oppure usate di nuovo le fruste elettriche a velocità 7… otterrete un disastro. Siate delicati ma non chirurgici. Equilibrio, suvvia.

Ok, il composto è ben amalgamato, privo di grumi, di un bel marrone scuro (aggiungete del cacao se lo volete più saporito). Insomma, pronto. Adesso imburrate una tortiera di un diametro adeguato tanto da lasciare un paio di cm di spazio sotto il bordo (gonfierà ulteriormente). Infarinatela e versate il delicatissimo composto soffice soffice. Eddai, sospirate, so che lo state facendo. Infornate a 150° per 60′. Accortezza: NON APRITE IL FORNO. Vi ammazzo, lo giuro, rischiate di smontare il tutto.

Bene, aspettiamo che cuocia. Direi che è ora di raccontare la storia del pan di sp… ah no! La crema di more! Che sbadato. Bene, facciamola in fretta. Prendiamo l’uovo e montiamolo con lo zucchero. “Ma come, ancora?! Un’altra mezz’ora a montare?” direte voi. No, bastano due minuti, tanto da farli amalgamare. Una volta fatto uniamoci il mascarpone. Ecco una base di formaggio delicato ma alquanto corposo, quello è il risultato che vogliamo. Amalgamiamo e uniamoci le more. Teniamone da parte tre o quattro, ci serviranno per fare una piccola bagna da aggiungere al pan di spagna (ehi, ho fatto anche rima). Pestiamo il composto, mescoliamolo, rompiamo le more e facciamo sì che il succo irrori il mascarpone, colorandolo di quel bel violaceo acceso che tanto mi piace. Ok, è finita, mettiamola in frigorifero a rassodare.

Una volta pronto il pan di spagna lasciamolo raffreddare in forno, con il calore che scompare piano piano. Sì, ci vorranno dalle 6 alle 8 ore. E’ tanto, lo so. Nel frattempo sciogliamo in acqua calda qualche cucchiaino di zucchero semolato, facciamo sobbollire a fuoco medio e mettiamoci dentro sin da subito le more che abbiamo tenuto da parte. Si apriranno, coloreranno e insaporiranno la nostra bagna che altro non è che uno sciroppo di glucosio abbastanza liquido.

Saltiamo qualche passaggio. Una volta raffreddato per bene sarà bello compatto. Apriamolo con l’aiuto di un coltello dentellato, bagniamo l’interno con il nostro sciroppo (se vogliamo togliamo pure le more) e poi farciamolo con la nostra crema di formaggio. Mettiamolo in frigo a riposare ancora un po’, la crema prenderà il sapore del cioccolato e viceversa. Sentirete che buona!

Pan di spagna al cacao con crema di more

Pan di spagna al cacao con crema di more

Considerazioni finali

Va bene, ho relegato alle considerazioni finali la storia del pan di spagna ma ehi, almeno potete leggerla nelle 6 ore di attesa per il raffreddamento. Allora, innanzi tutto siamo solo noi a chiamarlo così, perché altrove in tutto il mondo prende il nome di pasta genovese. Noi lo riferiamo al luogo dove venne creato, gli altri invece encomiano il suo creatore. Ecco quindi qualche indizio: venne creato da un pasticcere genovese alla corte spagnola. Si tratta di un dolce settecentesco che nulla ha di casuale o fortuito – come tutti i migliori dolci si dice siano – ma nasce dall’intelletto e dalla ricerca. Questo umile ma preparato pasticcere alla corte dei Pallavicini preparò per la corte spagnola un impasto alto e morbido grazie all’aiuto di ingredienti mescolati a lungo all’interno di un contenitore caldo. Ecco dove sta il trucco del pan di spagna: nella temperatura degli ingredienti. Le uova, sbattute a lungo a temperatura ambiente si gonfiano. Il composto solitamente infatti è piuttosto tiepido, azzarderei caldo. La lunga lavorazione fa sì che il tutto diventi più vaporoso e inglobi aria su aria su aria, mangi bolle e le immobilizzi all’interno. Infatti, meglio non far aspettare troppo l’impasto prima di infornarlo e altrettanto non si dovrà peccare di negligenza nell’aprire il forno umido prima della fine della cottura, pena la fuoriuscita delle bolle e la loro dispersione nell’aria. Insomma, questa pasta innovativa quanto semplice nella lavorazione e nella scelta degli ingredienti fece positiva impressione sulla corte che nemmeno un secolo dopo già tutti ne parlavano (e ne mangiavano).

Il pan di spagna è davvero una base portentosa, duttile, compatta se lasciata raffreddare (ecco perché noi abbiamo aspettato così tanto), si può insaporire in mille modi e possiamo sostituire la farina di grano tenero con qualsiasi altro composto secco, dalla fecola di patate (che lo renderà molto più soffice) all’amido di mais e di riso (danno maggiore struttura al dolce e più compattezza, ma anche più digeribilità, molto più adatto per celiaci). Inoltre, noi abbiamo messo il cacao nell’impasto e abbiamo fatto una bagna di more. In verità potremmo metterci qualsiasi altra cosa, dal succo di limone all’estratto di vaniglia. La crema di more qui usata come farcia permetterà al dolce intero di crescere in freschezza, mitigare la compattezza della pasta e dare un tocco di colore contrastante che mai non guasta.

Vi voglio lasciare con alcune considerazioni finali: 1) in molte ricette si parla di pan di spagna e si legge che tra gli ingredienti c’è il burro. NO, quella si chiama torta margherita ed è un’altra cosa; 2) noi abbiamo aggiunto il cacao in polvere ma, idem come sopra, molte ricette parlano di pan di spagna al cioccolato e poi ci aggiungono il fondente fuso. NO, quella è una torta al cioccolato, nulla ha a che vedere col pan di spagna. Per giunta a volte mettono sia il burro che il fondente e allora stiamo proprio cambiando ricetta; 3) il pan di spagna ha la particolarità di diventare più compatto con l’avanzare del raffreddamento. La bagna sarà utilissima per renderlo più morbido e saporito, premuratevi di irrorare tutto il dolce.

Accompagnamento: moscato d’Asti

Mi piace l’idea di accompagnare un dolce apparentemente zuccheroso con un vino quasi liquoroso altrettanto zuccherino. Anche perché in verità, questo pan di spagna non è poi così dolce, anzi, il cacao è amaro, la crema di more piuttosto aspra e compatta. Il moscato aiuterà a spezzare questa barriera impenetrabile con il suo gusto corposo.

Inerzia e ripresa

8 Ago

Epifania! No, non la festa religiosa, intendo invece il senso letterale del termine; d’un tratto nel bel mezzo delle tue azioni ti accorgi di qualcosa che prima non era chiaro, un ribaltarsi della trama dei nostri pensieri, un sollevarsi di quella rete di abitudini sulla luce di un nuovo evento. Epifania vuol dire questo, svelare, rivelare, scoprire.

L’altro giorno passavo su di un cavalcavia vicino alla stazione dei treni. Al tramono la luce tagliava di netto sui cavi elettrici sospesi, sulle torrette di controllo decorate, sulle archeologie industriali che abbracciano i reticolati. Mi sono fermato per un attimo ad osservare il lento cammino dei binari che da un lato correvano verso le banchine della stazione mentre dall’altro si perdevano improvvisamente, incrociandosi, tracciando linee rette e curve sinuose fino ad un unico punto di fuga lontano, nero, preciso e definito contro l’azzurro cupo dell’orizzonte. Là il mio sguardo si è fermato e i pensieri l’hanno superato, ficcandosi proprio sui binari immaginari che non vedevo più e che potevo solo costruire nella mia testa. Mi sono accorto d’un tratto (epifania!) che una volta ero solito fare cose simili, fissarmi con gli occhi sull’orizzonte distante e immaginare cosa ci fosse al di là del visibile, immaginare me stesso altrove e non per un solo attimo ma per sempre, per ricominciare qualcosa altrove. Di conseguenza mi sono reso conto di aver ri-cominciato a farlo.

Da molti mesi non lascio Bologna, forse per il timore di perderla, di non riuscire a risalire sul treno in corsa che questa città ha sempre rappresentato per me; forse ancora è per il timore di cambiare nuovamente e di gettarmi verso l’inconnu, lo sconosciuto e l’incertezza che ad un 25enne dovrebbero portare curiosità, invece a me spaventano e basta. Certi dicono sia lo spirito dell’abitudine, il dolore sottile dell’inerzia che ti porta ad accettare situazioni poco piacevoli o stimolanti solo perchè siamo già abituati a viverle. Sottostare a queste regole è un male dolce quanto il nettare, è un male semplice e appagante, facciamo spallucce e ci ridestiamo nel caos che la pigrizia ci porta a creare. Mentre tutto cambia, noi rimaniamo uguali a noi stessi.

Oggi, dopo tanto tempo, vi propongo un dolce così, un eterno classico che possiamo cambiare a piacimento, per contrastare l’inerzia dell’abitudine ma senza stravolgere la tradizione degli eventi, chi siamo e cosa rappresentiamo a noi stessi.

TRECCIA SEMIDOLCE RIPIENA

Tempo: 4 ore

Non spaventatevi, la preparazione in sè dura meno di un’ora (sono stato largo, fare con calma è un piacere). A fare il grosso è la lievitazione che, come al solito, rallenterà le vostre azioni ancora di più. Rilassatevi e concedetevi attività alternative mentre aspettate che l’impasto cresca.

Difficoltà: 5 su 10

Nulla di estroso, l’impasto è semplice, basta una mano. La parte più difficile sta nel creare la treccia senza che il composto interno scivoli ovunque, non temete! Tutto verrà da sè.

Costo: medio-basso

Il numero di ingredienti è elevato ma nessuno di essi è particolarmente raro, niente così gonfiati quindi.

Ingredienti

– mezzo bicchiere d’acqua (va bene quella di rubinetto)

– un panetto di lievito di birra

– 550g di farina tipo 0

– 120g di burro morbido

– 120g di latte intero a temperatura ambiente

– 3 tuorli d’uovo

– 80g di zucchero semolato

– marmellata di amarene (gusto facoltativo)

– sale q.b.

Premessa: premuriamoci di togliere dal frigorifero il burro che ci serve, tagliamolo a cubetti e lasciamolo riposare in un luogo ben tiepido, poi vi spiegherò perché.

Prima di tutto dobbiamo preparare il cuore magmatico del nostro dolce, là dove i batteri si moltiplicano e fanno il lavoro sporco: il lievitino. Per i neofiti, tale primo “ingrediente” è il composto (solitamente semi-solido o liquido) contenente il lievito e che viene aggiunto al composto più corposo per i prodotti quali pani, pane brioche e prodotti da forno lievitati in genere. Viene fatto sostanzialmente per due ragioni: accertarsi che il lievito sia effettivamente attivo e, conseguenza, per dare maggiore forza di lievitazione all’intero impasto. Viene fatto ad esempio per il panettone, che è un tipico dolce che abbisogna di una forza di lievitazione immensa, per la grande quantità di farina e burro.

Insomma, il lievitino. Prendiamo l’acqua, rigorosamente a temperatura ambiente e sciogliamoci dentro un cucchiaino scarso di zucchero (contiene gli enzimi necessari alla lievitazione, può essere sostituito con del malto, ma credo lo zucchero sia leggermente più reperibile, ndr). Fatto ciò, sciogliamoci dentro per bene il panetto di lievito di birra e in ultimo aggiungiamo circa 140g di farina. Il composto finale dovrebbe risultare una palla abbastanza collosa, non spaventatevi se si attacca alle pareti, è normale, il glutine contenuto nella farina sta facendo il suo sporco lavoro. Lasciamolo riposare coperto da un panno umido per mezz’ora in un luogo caldo senza correnti d’aria (circa 25°, in poche parole mettetelo in cucina vicino al termosifone ma non troppo).

Mentre aspettiamo che il lievitino cresca di circa il doppio del suo volume iniziale, andiamo con l’impasto vero e proprio. Prendiamo il latte e sbattiamoci dentro i tuorli d’uovo, amalgamiamo per bene. Aggiungiamoci lo zucchero e sciogliamo di nuovo il tutto come si deve. A questo punto mettiamo la farina rimasta, otterremo infine un composto colloso e di un bel giallo paglierino. Ora viene il bello. Vi ricordate che il burro è stato tolto dal frigorifero ben prima di iniziare il processo? Ecco, dobbiamo ora aggiungerlo al composto con la farina e impastare almeno per una decina di minuti. Se avessimo usato del burro freddo credetemi, sarebbero stati necessari almeno 30 minuti (l’ho provato sulla mia pelle o meglio, sui muscoli delle mie braccia). In questo modo il burro si amalgamerà in fretta; alla fine otterrete un composto leggermente più chiaro, sarà pronto quando la palla si staccherà perfettamente dalle pareti della ciotola. A questo punto uniamo il lievitino (sarà passata mezz’ora circa) e uniamolo al tutto. Bene, adesso rimettiamolo nella ciotola e lasciamolo riposare un paio d’ore.

Che si fa in queste due ore? Non saprei, io di solito leggo (in questo caso cerco altre ricette interessanti). Potrei pure proporvi un libro interessante. Mi è stato regalato da un caro amico, P., questo volumetto di “memorie” scritto da Aldo Buzzi, un veterano del cinema nostrano e della letteratura (http://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Buzzi). L’uovo alla Kok (così si chiama il testo, edito da Adelphi) è concepito come una serie di piacevoli conversazioni fatte con un immaginario interlocutore, basate sostanzialmente sulle esperienze culinarie dell’autore, effettuate durante i suoi numerosi e singolari viaggi. Da Parigi all’Oriente passando per la Russia, Buzzi contempla con charme e un tocco di nostalgia le curiosità delle svariate cucine mondiali, senza mai cadere nel trito, nel vezzoso o nell’altezzoso. E’ sia un libro di cucina che sulla cucina, perché spesso le ricette che ci passano sotto il naso non sono altro che annotazioni raffazzonate, senza precisione e a volte con qualche digressione tutt’altro che culinaria. Piacevole, breve e curioso, soprattutto nell’accostamento di certi manuali di cucina.

Oh guarda, sono passate due ore, benissimo. Stendiamo la pasta che avrà triplicato il suo volume. Tagliamo sostanzialmente quattro lunghi serpentelli che ci premureremo di aprire con il mattarello fino a farli diventare della larghezza di 4-5 cm. Cerchiamo di essere il più uniformi possibile perché qui verrà la parte difficile. Facciamo scaldare un po’ la marmellata in un pentolino ma premuriamoci di non farla diventare troppo liquida, oppure colerà ovunque. Fatto ciò, con l’aiuto di un cucchiaino stendiamo sulle nostre strisce di pasta un po’ di marmellata su tutta la lunghezza, premurandoci di lasciare libere le estremità. Fatto ciò cerchiamo di chiuderle lungo la cerniera, facendo in modo che si crei un tubo di pasta e che il ripieno ci stia tranquillamente dentro. Il procedimento richiede un buon grado di attenzione e alcune premure nell’aver steso le strisce una vicina all’altra, perché una volta chiusi i tubolari, dovremo unirli per l’estremità superiore. L’obiettivo è quello di creare una treccia, sovrapponendo in senso orario ed antiorario le varie strisce. Si procede insomma a zig-zag, sovrapponendo la prima striscia alla seconda, poi sotto la terza e sopra la quarta. La nuova prima striscia subirà lo stesso procedimento finché non termineremo lo spazio disponibile, andando ad unire l’ultima estremità in un solo nodo. A questo punto solleviamo DELICATAMENTE per carità la treccia finale, posizioniamola sopra la carta da forno adagiata sulla teglia e creiamo una corona unendo le estremità del dolce. Spennelliamo infine con del burro fuso. La torta va infornata a 180° per 25 minuti circa. Ad ogni modo, controllate sempre, servite tiepida o fredda.

Treccia semi-dolce

Treccia semi-dolce

Considerazioni finali

Come abbiamo visto, il dolce è lineare nella preparazione quanto ostico nella composizione finale. Non lasciamoci scoraggiare dalle difficoltà della treccia, se il composto si travasa perché ci sono dei buchi poco male, avrà giusto un po’ di colore in più in superficie. Il composto di base è poco dolce, quasi neutro, quindi consiglio di usare delle farciture piuttosto decise nei sapori. Io ho usato la marmellata di amarene perché dà una nota amarognola di fondo che ben si adatta all’impasto secco; nulla vi vieta di sostituirla con una più dolce, oppure con del cioccolato (le sorelle Simili la confezionano sotto il nome di Torta Angelica, vi assicuro che è buonissima). Insomma, sbizzarritevi, è un classico della pasticceria semi-secca.

Accompagnamento: latte

Questo dolce è prettamente mattutino, sta benissimo con qualsiasi derivato da colazione all’italiana. Ho scelto il latte perché diciamocelo, inzuppata dentro è la morte sua. Provare per credere.

Infine, gli estremi del libro che abbiamo citato.

Aldo Buzzi – L’uovo alla KokPiccola Biblioteca n. 478 – Adelphi, Milano – 1979

Ciò che è stato dimenticato

29 Set

Nulla è più vivo nella memoria di ciò che è stato dimenticato.

Questa mattina mi sono svegliato presto e ho visto che la nebbia si era alzata dal mio sguardo. Luci differenti, più nitide, più sicure, meno tremolanti nei miei occhi. Mi sono alzato e ho sentito un peso diverso nei piedi, un baricentro più greve e più sicuro di sè. Ho camminato per la stanza, respiri più profondi e puliti, l’aria scivolava veloce dentro e fuori dai miei polmoni, senza intoppi. Mai fumato, non mangio pesante la sera, niente infiammazioni di gola ultimamente; eppure sentivo respiri diversi, più… saporiti.

Cos’è successo? La notte ha portato consiglio forse? Non so, non ricordo bene. E’ strano, non rammento quasi nulla del sonno trascorso ma sento che si sta sollevando un velo e ciò che è stato dimenticato torna a galla. Non ne riconosco le forme, vedo solo le sagome ancora indistinte di qualcosa che pian piano ritorna a passi lenti e strascicati.

Ho creato mattoni di pensieri, ho costruito muri con quei mattoni e ho assemblato stanze in cui risiedeva solo un pensiero incolore e insapore, un giudizio di me che non volevo accettare ma che in qualche modo pronunciavo con una certa ripetizione ed insolenza; ma la memoria ha fatto un altro percorso e alla fine ha stravolto i miei piani.

Gestalt, psicologia della forma. Per essere popolari quella che si esemplifica in quegli esperimenti grafici dove due profili identici e simmetrici si osservano frontalmente. Sembra un candelabro, invece se ti sforzi ci vedi due facce che si scrutano. Oppure la vecchietta in pelliccia che, se guardi meglio, è una giovane donna che osserva dietro di sè. Il processo che sta dietro questo apparente divertissement è una complessa ristrutturazione del proprio schema mentale, di come vediamo le cose. Quale capovolgimento ho portato avanti io? Perchè stamattina vedevo le cose in modo diverso? Deve essere successo qualcosa.

Infine realizzo. Realizzo che sono successe molte cose questa notte, che mi sono reso conto di un cambiamento che, in itinere, ha modificato la mia percezione delle cose. Prima di tutto capisco di aver sognato qualcosa di definitivo stanotte: ho lavorato a lungo, di buona lena e con un obiettivo davanti anche se tutt’ora sconosciuto. Avevo ben presente che c’era qualcosa da raggiungere e volevo arrivare al traguardo a tutti i costi. Associo automaticamente i miei sforzi di questi giorni nel cercare lavoro a tale impegno fisico e mi rendo conto che l’epifania sta nell’approccio deciso al raggiungimento dell’obiettivo e non nell’obiettivo stesso. Già un passo avanti.

Non sono solo nel mio lavoro, qualcuno m’aiuta in silenzio, siamo concordi che il gruppo è uno strumento più efficace rispetto all’impegno individuale. Un altro indizio: non posso sollevare il velo da solo, non sono capace e logisticamente non ne ho le forze, devo essere aiutato. Il singolo non funziona, ma posso sempre accordarmi nel darci una mano a vicenda. Svelato l’arcano: ci si deve muovere assieme per raggiungere risultati, per vedere qualcosa devo agire, solo poi avrò risposte.

Infine il sogno si conclude, il lavoro termina e il mio misterioso aiutante sillaba una frase definitiva, quella che risolve il puzzle e che fa meccanicamente combaciare gli ingranaggi. Non me la ricordo, però so che è stata catartica. Ecco sollevato il velo, l’ultima scintilla per fare luce e nitore sulla realtà. Per questo mi sono svegliato diverso, avevo in testa uno schema mentale più lucido e preciso, sapevo ciò che dovevo fare. Oggi ho portato avanti pensieri nuovi, un paio di azioni strategiche e una certa positività di intenti. I sedimenti dell’inconscio si sono mostrati, son sempre stati lì dopotutto.

Nulla è più vivo nella memoria di ciò che è stato dimenticato.

Vi servo una ricetta piena di ingredienti nascosti, per far affiorare pensieri diversi e sapori con origini differenti. Cosa abbiamo dimenticato? Cosa ci ricorderemo?

MUFFINS AL CIOCCOLATO E CUORE DI PERA

Tempo: 50 min.

Niente di difficoltoso, basta prepararsi gli ingredienti tagliati prima e unirli secondo la ricetta.

Difficoltà: 4 su 10

Come specificato per il tempo, la difficoltà sta solo nello sminuzzare i complementi in anticipo, il resto vien da sè.

Costo: medio

La componente di cioccolato è preponderante, così come la frutta è basilare per dare una nuance meno dolce. Se andiamo ad usare ingredienti di qualità (pere abate, cioccolato extra-fondente finissimo) ovviamente il costo si alza, ma il risultato sarà migliore.

Ingredienti

60g di burro a temperatura ambiente

125g di zucchero semolato

160g di farina tipo 0

un uovo

125ml di latte intero

sale q.b.

miele (un cucchiaino)

50g di cioccolato fondente

30g di cacao amaro in polvere

– una pera matura

– 100g di cioccolato bianco

– lievito per dolci

Prima di tutto sminuzziamo gli ingredienti che daranno sapore al composto: andiamo a creare delle scaglie (o quadrettini) di cioccolato bianco, meglio se grossolane (si scioglieranno nel forno). In seguito prepariamo la pera. Consiglio vivamente di utilizzare una varietà dalla polpa piuttosto compatta, come ad esempio le pere abate. Fate pezzi abbastanza grossi, che possano stare comodamente al centro di un pirottino da muffin. In forno la pera ha la straordinaria proprietà di sciogliersi e pervadere tutta la pasta con il suo dolcissimo sapore.

A questo punto passiamo alla pasta. Procedimento alquanto semplice e sbrigativo: unite il burro allo zucchero ed al cucchiaino di miele. Dovrete ottenere sbattendo (con un frustino è più che ottimale) una pomata soffice, alla quale va in seguito aggiunto l’uovo intero, che dovrà venir completamente assorbito dal composto. Risulterà una crema densa e giallastra, molto densa.

Facciamo sciogliere a parte a bagnomaria il cioccolato fondente, che dovrà risultare bello liquido. Andiamo ad unirlo al precedente composto, così che si formi una bella crema scura. Andiamo ora ad unire gli ingredienti secchi: uniamo perfettamente farina e lievito, versiamoli poco alla volta nel composto, possibilmente alternandoli al latte, così che non si formino grossi grumi (cosa che avverrebbe se decidessimo di sbatterci dentro interamente un ingrediente ed in seguito l’altro).

A questo punto non ci rimane altro da fare che unire il cacao. Setacciamolo un po’, così che non si formino grossi grumi. Potreste anche non setacciarlo, solo che in questo caso sarebbe meglio lavorare di buona lena per evitare pezzettoni di polvere in bocca una volta cotti i muffin. Il tocco finale: aggiungiamo al composto ottenuto le scaglie di cioccolato bianco e mescoliamo con l’aiuto di una spatola (o un cucchiaio di legno).

Prepariamo i pirottini: stendiamo un primo strato di composto sul fondo (massimo un centimetro), poi adagiamoci nel mezzo il pezzetto di pera. Se lo abbiamo fatto abbastanza grosso questo occuperà l’intero livello, lasciando qualche millimetro attorno a sè. Ricopriamo il tutto con un successivo strato di pasta, ricordandoci di non riempirlo fino all’orlo ma di lasciare almeno 5-6 millimetri dal bordo (gonfieranno, vedrete). E’ ora di infornarli per 25 minuti a 200°. Infine sfornateli ma lasciateli raffreddare senza toccarli, dovranno solidificarsi.

Considerazioni finali

Ricetta davvero semplice e d’impatto. La pera è un tocco di dolcezza che stempera la pesantezza dei due cioccolati. Il fondente sarà il sapore di base, il cioccolato bianco invece aiuterà ad addolcire la ricetta. I muffin gonfiano con una buona dose di umidità, quindi premuratevi che a) i liquidi siano sufficienti, non lesinate sul latte e b) nel peggiore dei casi mettete un pirottino d’alluminio mezzo pieno d’acqua nel forno vicino ai muffins.

Accompagnamento: passito

Ci vuole un vino zuccherino e abbastanza alcolico, che si sposi bene con la pera e il carattere decisamente dolce del muffin. Ricordate, in fatto di alcolici mai contrastare troppo la natura intima del dolce, piuttosto assecondatela. In questo caso prendiamo un vino cosiddetto “speciale”, che darà il giusto tono al piatto.