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Fare la guerra è un po’ come fare l’amore

28 Ago

Recentemente sono stato protagonista di un intimo e tacito scambio di battute tra un ricordo ed il libro che sto leggendo. E’ una singolare esperienza che capita probabilmente per casi fortuiti ed inaspettati; oltretutto non è la prima volta che noto certe assonanze momentanee.

A metà agosto ho trascorso una rilassante settimana in Salento: spiagge rocciose, vento caldo e umido, vegetazione lussureggiante. Non mi dilungherò sulla descrizione di un piccolo paradiso a pochi passi da casa. Dico pochi passi per chi decide di sorvolare la penisola per scendere sul tacco del nostro Stivale. Io invece, che mi accompagno ad amici masochisti, ho attraversato l’intera penisola in automobile. Sarà che non guido molto spesso, ma non soffro affatto i lunghi viaggi su quattro ruote, mi dà il tempo per pensare a molte cose e, in questo caso, di leggere. Ho avuto il mio folgorante incontro con l’attuale testo (in questo momento comodamente posato sul divano) a Lecce, poco prima del ritorno. Complici la piacevolezza del clima temperato, le architetture a misura d’uomo, l’atmosfera nostalgica del tufo logorato dal tempo e una piccola libreria, compatta e colorata. Sensibile e ricettivo a qualsiasi sentimento positivo, ricevo il caldo consiglio di un amico a proposito di questo singolare esempio di “memorie” di cucina afrodisiaca, scritto da Isabel Allende. Afrodita si chiama, una copertina candida, edizioni economiche, prezzo ridotto. Detto fatto: lo acquisto e lo metto in borsa, so che le innumerevoli ore di viaggio mi spingeranno a sfogliarlo.

Verso Pescara (ancora troppo vicini al mare per poter sospirare sui ricordi della vacanza) mi sono imbattuto in alcune pagine dedicate al singolare argomento dell’orgia. La Allende ripercorre storicamente le abitudini dei nostri antenati, legandole strettamente al cibo. Così pare che Antichi Greci e Romani fossero particolarmente volubili al potere afrodisiaco di carni profumate al miele, frutta fresca e leccornie dolci proveniente dalle province più lontane dell’Impero. Di più: i commensali erano liberi di dare letteralmente sfogo alle pulsioni sessuali durante questi incontri. Non a caso i baccanali erano considerati vere e proprie orge di cibo, danze e ormoni. Insomma, a quanto pare i peccati capitali tanto demonizzati dalla religione cattolica sono sei e non sette: gola e lussuria sembrerebbero essere (o essere stati) un tutt’uno.

Cambio di scena. Qualche giorno fa ho avuto modo di tornare in terra natia per salutare la famiglia: la cucina del Pavese e del suo Oltrepò (famoso per i vini bianchi e gli spumanti) è un curioso incontro fra cacciagione e prodotti della terra, con il riso e le sue varietà a fare da sfondo. I piatti cosiddetti poveri si sono trasformati col tempo in gustose portate “della tradizione”: animali da pollaio (polli, galline) e da cacciagione (fagiani, lepri, conigli), ma anche pesci di fiume (storione) e rane, tante rane. Non solo, l’oca fa da padrona in tantissime ricette (anche nel risotto, e poi patè, fegatini, ciccioli), assieme al maiale (pancette, sanguinacci, salame di Varzi). Il riso compare anche fra i dolci (torta di farina di riso) e celebri sono le offelle di Parona, morbide tanto da sciogliersi ancor prima di toccare la lingua. Ebbene, un esempio della cucina pavese mi è stato presentato presso il ristorante Stazione di Salice Terme, a pochi km da Pavia. Una cena calda, semplice e non pretenziosa. Piatti tipici con prodotti a km zero. Ambiente silenzioso ricavato appunto dalla vecchia stazione ferroviaria della linea Varzi-Voghera (ora non più in funzione), i tavoli direttamente posizionati sulla banchina e sui vecchi binari ormai coperti. Troppo restauro per i miei gusti, peccato. Tra il secondo ed il dolce il discorso verte sul mio viaggio verso il sud… e salta fuori un ricordo.

Pare che un’amica di uno dei commensali venne invitata tempo fa assieme al marito al matrimonio di una ragazza. Meta: la Sicilia (non ricordo il luogo esatto). Cerimonia calda, molti invitati, decorazioni opulente, tanti fiori: insomma, un matrimonio a regola d’arte come la tradizione esige. Il pranzo che seguì fu altrettanto ricco e prodigo di prodotti tipici, servito su terrazze assolate, fra le chiacchiere di parenti ed amici. Tavolate piene di colori, elaborate paste, pesce iridescente, dolci zuccherosi, frutta turgida e lucida. Non è difficile immaginare la convivialità e il calore solare, la luce naturale ed il senso di pace che una simile atmosfera può indurre. Ovviamente la protagonista ma si sarebbe aspettata la battaglia a suon di cibo che cominciò a fine pranzo. Innumerevoli bacili di cibo (avanzato) vennero riversati sui commensali, urlanti e sgambettanti. Uva gettata sulla sposa, carni lanciate allo sposo, sozzure, macchie, liquidi colanti sui corpi degli astanti. Mezza anguria schiacciata sulla testa della suocera della sposa, ruotata e svuotata dei suoi semini. Spavento, terrore, orrore e schifo? Tutt’altro, solo molte risate, divertimento spensierato e qualche vestito della festa rovinato. Unica nota negativa in questo caso sarebbe lo spreco e la tristezza di vedere tutto quel ben di dio spappolato a terra e sulla tovaglia.

Ebbene, ascoltando questo racconto non ho mai smesso di pensare alle analogie lette sul testo di Isabel Allende. Una battaglia di cibo può essere considerata un’ottima sublimazione del sesso? A mio parere sì, anzi, più che una sublimazione è un’allusione molto potente. Ancor di più nel caso di uno scambio così violento si potrebbe quasi parlare di esorcismo orgiastico, esortazione alla conoscenza biblica fra più persone nello stesso momento. Lordarsi degli umori scaturiti dalla frutta sarebbe quindi un po’ come insozzarsi di altrettanti umori sessuali. Un scontro dolce e vivace, al limite della volgarità e della malizia, avvalorato dal fatto che i commensali tutto sommato si sono divertiti parecchio nel lanciarsi cibo addosso e uscire dagli schemi rigidi della convivenza sociale. Tornare piccoli e innocenti, incontrarsi, scontrarsi, gridare, rincorrersi e colpirsi. Catarsi fisica e attrazione contagiosa. Lo stesso brivido che percorre le persone i cui sguardi si incontrano complici passa anche attraverso il contatto “sporco”. Fare la guerra alla fine è un po’ come fare l’amore e il cibo è il nostro sangue versato.

Concludo il post consigliandovi i due estremi del mio pensiero, il testo e il ristorante.

Isabel Allende, Afrodita. Racconti, ricette e altri afrodisiaci, Universale Economica Feltrinelli, 1997 – costo 10 €

La Stazione di Salice, via Diviani 5/7, Salice Terme (PV) – http://www.lastazionedisalice.it – prezzo medio menù completo 35 €