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Finzioni

31 Ago

Da bravo casalinguo (di fantozziana memoria) ho una predilezione per l’ambiente che siamo soliti chiamare cucina. Mi piace il calore che emanano il forno ed i fornelli, l’odore che si attacca ai mobili, i cassetti chiusi, gli strofinacci appesi, il rumore dei tegami che sbattono, le tovaglie stese sui piani, le sedie… insomma tutto o quasi. Altrettanto affetto provo per i televisori accesi che blaterano e ci tengono compagnia mentre spignattiamo e macchiamo di cibo le piastrelle dei fuochi; programmi di cucina s’intende. Eccezione accettata sono le soap-opera, quei prodotti da false confidenze intime, quegli intrugli di amori gonfiati come le nuvole del temporale e sciolti come i nodi degli auricolari. Mi piace seguirli come si segue il telegiornale, con un orecchio solo e senza guardarlo. Mi piace il tono affettato con il quale si sviscerano passioni all’altro sesso e come si sciolgono dubbi su intricati casi di adulterio; alla fine son questi i temi delle fiction.

Appunto: fiction, finzioni. Imitazioni poco mimetiche della realtà. Aspirazioni, sogni? Forse, magari qualcuno si augura davvero di vivere una volta nella vita una storia d’amore come quella delle soap. “Un amore da soap” si dice infatti, forse più per indicare un flirt breve ma intenso che il legame eterno. Non divergiamo però, stavamo parlando di finzioni. Il fatto è che la fiction ci si presenta anche fuori dallo schermo, anzi, soprattutto fuori. La troviamo in ogni anfratto, pure nell’ombra dei nostri passi. I palazzi in ristrutturazione sono coperti da un telone che ne riproduce la facciata (secondo le più moderne pratiche di visual marketing), gli uomini gonfiano i propri muscoli per nutrire gli osservatori della loro vera (o presunta) mascolinità, le persone fingono di non vedere ciò che non si accetta. Si finge, punto. A volte si finge anche con gli amici, per non farli soffrire oppure per resistere alla tentazione di mandarli a quel paese. Per molte ragioni nascondiamo i nostri pensieri, la maggior parte delle quali per un bene superiore.

Vi dirò di più, la cucina è finzione. Un vezzo, un insieme di orpelli composti e o apparentemente caotici che all’occhio ispirano gusti, pensieri, ricordi. Del resto, cosa facciamo quando copriamo una torta  con della panna? Non stiamo forse camuffandola? Gli americani creano decorazioni finissime su pasticcini e cupcakes per mimetizzarli: fiorellini di zucchero, crema di burro colorata per dare volume, glasse per mascherare, fondanti per oggetti in rilievo. Una finzione insomma. E poi, mica si camuffa solo con gli occhi, si può celare un particolare anche agli altri sensi, a volte salvando intere portate.

Insomma, fingiamo spesso e parecchio, a fin di bene. Per questo vi suggerisco una ricetta deliziosamente regionale (Emilia-Romagna s’intende), un vero inno alla finzione. Faremo letteralmente di tutto per trasformare un insieme di ingredienti in qualcosa che, al palato, non ricorda nemmeno lontanamente l’aspetto finale.

PESCHE ALL’ALCHERMES

Tempo: 100 min.

Quello proposto è un dolce di facilissima esecuzione e di altrettanto semplice composizione: cuocere, scavare, farcire, unire, aspettare. Indicativamente il tempo di un film, dall’apertura del frigorifero per recuperare gli ingredienti alla sua chiusura per far raffreddare il prodotto terminato.

Difficoltà: 5 su 10

Su una scala decimale, questa ricetta è di media difficoltà, suderete solo per il calore del forno. Abbiamo pure bisogno di pochissimi utensili e il procedimento più complesso sta nell’usare un cucchiaino per scavare i biscotti. A panare (o inzuccherare in questo caso) il prodotto finale ci si mette poco, dovremmo avere già qualche esperienza con le fettine alla milanese.

Costo: medio-basso

La cosa più costosa è il liquore. La nota positiva è che viene venduto anche in bottiglie da 500ml per un costo quasi irrisorio. Farina, burro e uova dovrebbero essere alla portata di tutti.

Ingredienti

Per circa 15 pesche

– 500 grammi farina bianca tipo 0

– 100 grammi burro a temperatura ambiente

– 360 grammi zucchero semolato

– 2 bustine vanillina

– bustina lievito in polvere per dolci

– 3 uova fresche + 6 tuorli

– 600 ml latte intero

– 25 grammi amido di riso

– 25 grammi amido di frumento

– sale q.b.

– alchermes q.b.

D’accordo, ad elenco redatto sembra difficile ma, a costo di ripetermi, non lo è affatto. Per prima cosa mescolate in un colpo solo tutta la farina, 175g di zucchero, burro (a temperatura ambiente, in modo tale che si amalgami subito e non crei piccoli grumi da pasta brisée), lievito, 3 uova intere, una bustina di vanillina, un pizzico di sale. Ricordate poi che quest’ultimo va aggiunto ben lontano dal lievito, sennò quest’ultimo perde le sue proprietà (i batteri schiattano) e addio crescita in forno. Comunque, potete decidere se fare tutto a mano (molto divertente sporcarsi ogni tanto, sentire fra le dita gli ingredienti che si impastano) oppure se aiutarvi con un’impastatrice. Nel caso usaste un robot da cucina, vi consiglio di aiutarvi con l’attrezzo adatto per impastare (quella specie di agglomerato di barrette metalliche curvate) e non lo sbattitore/fruste, perchè il composto che risulterà sarà piuttosto corposo all’inizio, di difficile duttilità. Quando gli ingredienti saranno ben amalgamati, unite una parte del latte. Quanto? Direi che qui dovrete fare ad occhio; indicativamente quanto basta per creare un composto liscio e lavorabile a mano. In altre parole non troppo liquido e non troppo solito. Facciamo sui 70-80 ml, poi sta a voi capire quando è pronto. Il risultato deve essere una pasta gialla, molto elastica e molto appiccicosa.

Ora dovrete lavorare il composto in modo tale da creare delle palline del diametro di 2 cm circa da disporre sulla teglia da forno. Potete aiutarvi con due cucchiai oppure infarinarvi le mani a più riprese e prendere direttamente in mano le palline. Il primo metodo sarà più approssimativo, il secondo un po’ più preciso. Al contrario il primo vi permetterà di sporcarvi meno le mani mentre il secondo sarà da vero pasticcio. A voi la scelta., ricordate solo che questi cresceranno abbastanza, quindi distanziateli parecchio, fate più infornate se necessario. Adesso infornate a 180° per circa 15-20 minuti. Vedrete formarsi delle piccole colline bianche, molto compatte e fragranti. Non fatele cuocere troppo, non fatele scurire in superficie, sennò sembreranno delle pesche troppo mature quanto le intingerete nel liquore. Sfornatele ancora morbide, all’aria si raffredderanno.

C’è una sola difficoltà in questa ricetta, ma siamo ben lontani dal considerarlo un ostacolo di accostamenti di gusti. Si tratta di un accorgimento tecnico e qui non si può che fare tutto ad occhio, bisogna conoscere la propria mano e fidarsi del potere umido del proprio forno. Infatti dovremo, a cottura ultimata, unire le due estremità dei biscotti per far sì che somiglino il più possibile a pesche. Bordi tondeggianti e soprattutto misure combacianti. Facile? Non proprio. Che seccatura riuscire ad accoppiare tutti i biscotti e poi accorgersi che l’ultimo duetto stona! Come aggirare il problema? Semplicissimo: create lo stesso il mostro finale, dategli la vita iniettandogli la linfa vitale (alias la crema), irroratelo di sangue liquoroso, ricopritelo di zucchero e poi addentatelo voi stessi. Vi servirà per testare il risultato finale e… fingere che tutto sia perfetto. Camuffare, ancora una volta.

Non stiamo con le mani in mano però, intervalliamo le infornate/sfornate con la preparazione della crema pasticcera. Procedimento veloce e indolore: unite i sei tuorli freschi con il restante zucchero, sbattere fino all’ottenimento di una spuma biancastra (non sarà mai candida, lo zucchero non fa miracoli, anche sciolto). Teniamoci da parte un bicchiere (facciamo 200 ml per gli amanti della precisione) di latte freddo ed il resto (saranno suo 300 ml circa, se la memoria non  mi inganna) mettetelo sul fuoco (moderato) con una busta di vanillina. Mentre il fuoco rallegra le particelle grasse del latte, unite alla spuma di tuorli i due amidi, mescolate ed infine aggiungete il bicchiere di latte tenuto da parte. Il risultato sarà a metà strada fra denso e liquido. Ora, versate questo composto nel latte sul fuoco (che starà sobbollendo), dopodichè mescolate con la vostra fidata frusta fino ad addensamento totale della crema. Spegnete il fuoco, travasate la crema in un contenitore a chiusura ermetica (oppure in un contenitore normale sul quale metterete della pellicola trasparente a contatto con il composto) e lasciate intiepidire per bene.

E’ arrivato il momento finale: la composizione del piatto. Scavate i biscotti con l’aiuto di un cucchiaino, stando attenti a creare una conca abbastanza profonda ma tanto da non lasciare le pareti troppo sottili (devo sentire ancora il sapore del biscotto in bocca). Riempiamo tutte le conche con la crema pasticcera (con l’aiuto di una sac-à-poche, ma anche un cucchiaio va bene), poi facciamo combaciare le due estremità così da creare una sfera. Meglio se non risulta perfetta, avremo qualche escrescenza che renderà la pesca più “naturale” (un espediente per la finzione madre). Mettiamo l’alchermes in un piatto fondo e dello zucchero bianco in un altro: saranno le nostre due “piscine”. Il procedimento ora è quello dell’impanatura delle fettine: bagniamo leggermente le pesche con l’alchermes e poi tuffiamole nello zucchero. Adagiamole su di una graticola e poniamole nel frigo a raffreddare e indurirsi leggermente. Se vogliamo possiamo decorarle con delle foglioline di ostia, così da poterle far sembrare ancora più reali.

Pesche all'alchermes

Eloquente immagine scattata da Diego Bordignon

Considerazioni finali

Che dire, fate attenzione ad un paio di cose. L’effetto finale che vogliamo rendere qui è quello del frutto, non del doppio biscotto farcito. Quindi evitate l’errore (che ho fatto io modestamente) di riempire troppo le conche dei biscotti con la crema pasticcera, rischierete di vederla strabordare dalle giunture della pesca, creando un senso di spaesamento in chi la prende in mano (“Ma cos’è? Un frutto o un dolce? Che è sta cosa gialla che esce? Oddio, sarà mica marcia? No no, non la mangio”. Ecco, evitiamo queste situazioni imbarazzanti). Inoltre, non bagnatele troppo nel liquore: il biscotto è molto spumoso e rischiamo lasciandolo in ammollo per troppo tempo, di farlo diventare una specie di grumo morbido. Se lo passassimo nello zucchero poi… immaginate il disastro, si prosciugherebbe, diventerebbe molto più dolce di quello che già non è e rischiereste di far venire il diabete. Comprate le foglioline di ostia, non vi azzardate a cimentarvi nella preparazione perchè è uno di quei prodotti squisitamente da laboratorio. Non fate sì che il tempo di preparazione di questo dolce quadruplichi. Infine, sembrerà un dolce iper calorico ma non lo è: la quantità di zucchero nel biscotto è ridotta, l’ingrediente principale è la farina che fa da collante. Il latte è intero ma si può usare anche quello scremato, abbassando il tutto di qualche caloria. Carboidrati, zuccheri, grassi del latte (e della crema, l’unica porcata vera), le proteine delle uova, insomma un prodotto completo. Ecco fate così allora, mangiate solo questa a pranzo e dovreste essere a posto fino a cena. Oppure fregatevene e andate a fare sport il giorno dopo.

Accompagnamento: prosecco

Finzione per finzione, andiamo fino in fondo. Le pesche bagnate col prosecco sono una leccornia. Non facciamo caso se quelle che abbiamo fatto noi non sono veri e propri frutti; un piccolo contrasto tra il dolce del dessert e il gusto del vino ci sta e rende bene.