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Torta agli amaretti

5 Set

Come annunciato, questa è la ricetta di mia nonna Giuditta. E’ sostanzialmente un classico intramontabile, semplice, gustoso senza essere stomachevole. Ogni volta che mia nonna la cucinava per le feste patronali era un successo a Scaldasole.

Torta agli amaretti - Il protagonista

Torta agli amaretti – Il protagonista

Tempo: 80 minuti

Veloce, molto veloce. Anche i tempi di cottura sono ridotti. Vedrete.

Difficoltà: bassa

Come ogni torta classica che si rispetti, è semplice e rapida. Pochi ingredienti, questa volta arricchiti dal cioccolato e dagli amaretti.

Costo: medio-basso

Meno di una decina di ingredienti, tutti di facilissima reperibilità.

Ingredienti

– 150g di zucchero semolato

– 150g di farina tipo 00

– 100g di cioccolato fondente

– 200g di amaretti

– 4 uova

– 200g di burro a temperatura ambiente

– una bustina di lievito vanigliato

Cominciamo. Prendete il burro e tagliatelo a dadini. In verità potreste anche tagliarlo a pezzi grossolani, oppure pigliarlo intero ma anche intagliare il panetto a forma di panda; vi dico, più piccoli sono i pezzi e più facilità avrete nel lavorarlo. Unite lo zucchero e sbattete il composto fino a trasformarlo in crema. Separate ora i tuorli dagli albumi ed unite i primi al composto, uno alla volta, impegnandosi nel farli assorbire per bene dalla crema di burro. A questo punto sbriciolate gli amaretti e grattuggiate il cioccolato fondente. Certo, grattuggiare una tavoletta di cioccolato non è semplicissimo, vi si potrebbe squagliare in mano in due secondi. Poco male, troviamo il metodo alternativo: rompiamo la tavoletta in pezzi grossolani, prendiamo il coltello a lama sottile più grande che avete e, tenendo ferma la punta con il palmo della mano cominciamo a sminuzzare il cioccolato. Basteranno pochi secondi, se riuscite a non spargerlo fuori dal tagliere.

Torta agli amaretti - Gli ingredienti

Torta agli amaretti – Gli ingredienti

Uniamo il nuovo grattuggiato al composto assieme agli amaretti e mescoliamo per amalgamare. Il nuovo insieme sarà parecchio duro, lavoriamo di gran lena e prepariamoci ad avere un po’ di male alle braccia. Come se non bastasse, ora uniamo anche la farina setacciata. Possiamo lavorare il composto con le mani adesso, avrà la consistenza della pasta da biscotto. Per rendere più morbido il tutto, montiamo gli albumi a neve fermissima e mescoliamolo al composto. Non troppo forte o gli albumi di smonteranno.

Imburriamo una tortiera da 24cm di diametro (o 26, dipende da quanto la vogliamo alta), infariniamola, ficchiamoci dentro il composto, livelliamolo e mettiamolo in forno a 160° per una quarantina di minuti. La torta, una volta sfornata, va fatta raffreddare per bene.

Considerazioni finali

Facile vero? Non c’è nulla di complesso in questa preparazione. E’ semplice anche nella cottura, nessuna umidità

Torta agli amaretti - La fetta finale

Torta agli amaretti – La fetta finale

aggiuntiva rispetto a quella che c’è già in forno. Rimane piuttosto friabile, soprattutto la crosticina che si forma a cottura ultimata. Da servire rigorosamente per le occasioni tra buoni amici senza troppe pretese di raffinatezza. Mi rendo conto sia un dolce invernale, ma gli omaggi alle persone speciali non hanno davvero tempo.

Accompagnamento: malvasia

Un vino liquoroso molto saporito, che ben si accompagna alla dolcezza dell’impasto.

L’occhio del lupo

3 Set

L’inverno in Pianura Padana è freddo non tanto per le temperature rigide, piuttosto per la presenza costante di una fitta coltre di nebbia e di un’umidità talmente elevata da penetrarti nelle ossa e offuscarti persino la vista, dal di dentro. L’unico modo per sopravvivere è rimanere in casa, al caldo di un camino oppure sotto le coperte, in un letto. Figuriamoci se un bambino di sette anni si lascia sfuggire l’occasione di assaporare il tepore di un materasso di vere piume d’oca, come li facevano una volta, cuciti a mano e tanto polverosi da sembrare loro stessi una nuvola di acari. Io sto lì, rannicchiato, nascosto, confuso tra le lenzuola ed un cuscino grande tanto quanto me, anche quello fatto a mano e pieno di piume d’oca caldissime e sofficissime. Tutto intorno a me la luce si muove piano, emanata da un’abat-jour che è sempre stata lì da quando sono nato; una luce soffocata dal tessuto grezzo di un paralume industriale, che tanto andava di moda all’inizio degli anni ’90.

E’ tardi, tardissimo, secondo la mia mente di bambino. Il buio è tutt’attorno a noi, al di là della luce, oltre quelle due finestre che ricamano gli spessi muri di una casa padronale, nel piccolo paese della Pianura. Una stanza enorme, sempre ai miei occhi di bambino. Quel chiarore che la lampada emana è debole, arriva a malapena fino ai piedi del letto, oltre scorgo le sagome mastodontiche del grande armadio in noce che tiene tutta la parete di fondo. Laggiù quello scricchiola e riposa immobile, respira sommessamente ed io con lui inspiro ed espiro piano, senza fare rumore. Lo fisso, ma solo ogni tanto, perché ho paura che prima o poi salti fuori qualcosa.

Una mano si posa sulla mia, è calda, la pelle raggrinzita. Mi è familiare, nonna. La mia mano, contenuta nella sua, si alza verso il soffitto di legno a travi imponenti, larghe quanto me. Avranno 200 anni. Il mio dito indice si allunga ad indicare i segni del legno, nodi che conosco, storie che voglio sentirmi raccontare di nuovo. – Vedi là – dice la nonna, – quello è l’occhio del gufo. E laggiù – indicando uno spazio più lontano, meno illuminato – quello invece è l’occhio della faina. –

Silenzio, ma solo per un attimo. Il mio dito rimane puntato al soffitto, la punta dell’indice diventa fredda per la paura che da un momento all’altro quell’occhio là, quello che mi ha fatto vedere la nonna prima, si trasformi davvero nel bulbo oculare di un animale e che mi mangi la falange. Ho paura, ma sono un bambino forte e continuo a tenerlo puntato. – Quello invece è un occhio umano – dice, facendomi vedere un nodo del legno che effettivamente, con un piccolo salto fantastico, può sembrare davvero l’occhio di una persona. – Là invece c’è l’occhio del lupo – indica il punto più distante, quello che vedo più difficilmente perché praticamente al buio, l’occhio che mi fa più paura di tutti. E che ricordo con maggiore vividezza.

Questo che vi ho raccontato è il ricordo più forte e più preciso che ho di mia nonna. Tante facce della vita quotidiana mi tornano alla mente quando ci penso, ma del resto, sono stati movimenti fatti senza nemmeno pensarci troppo: un abbraccio, un bacio, i racconti dei compiti a scuola. I nodi del legno invece rappresentavano la sua saggezza, la sua conoscenza del mondo animale che la circondava, in qualche modo il suo passato, solo suo, che non sarebbe mai stato mio perché ero destinato ad un’altra strada, un passato che mi affascinava. Era la saggezza che rendeva il mio orecchio teso alle sue parole, i miei occhi curiosi verso i suoi misteri arcani di contadina, verso i suoi ricordi. Il silenzio di quelle notti rendeva i nostri discorsi speciali, unici, come se stesse rivelandomi qualcosa di imprevedibile; e per me, ogni volta, era davvero così.

Mi hai insegnato tante cose nonna, tante cose pratiche. Come si cucina, come si trattano le persone alle quali si vuole bene, quando c’è da stare zitti e quando si deve parlare. In tutte queste faccende ho trovato, pezzo dopo pezzo, una forza più grande, più forte di ogni singola azione, un’integrità che non pensavo di avere. Ti penso e mi sento forte, mi ricordo chi sono, anche se i contorni del tuo volto cominciano ad offuscarsi nella mia mente. Ti penso e so chi eri, quanto valevi per molte persone che non erano la nostra famiglia, so quali corde vibrano profondamente dentro di me quando penso al tuo nome e le lacrime che verserei pronunciandolo.

Volevo che il mio testo fosse un’omaggio a lei. Il dolce che presento è il SUO dolce, non il mio, ci tengo a precisarlo. Mi limito a copiarne la ricetta così come mi è stata consegnata da lei. Mescolando quegli ingredienti rendo altrettanto omaggio a mia nonna ed al suo ricordo. E’ un dolce buono, è un dolce semplice, ti somiglia, Giuditta.