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Il peso specifico del tempo

10 Set

Ricordo che da piccolo sfogliavo abbastanza spesso un libro dedicato alle tradizioni popolari, ai modi di dire e all’attività contadina. Di tutte quelle parole in dialetto, figure acquerellate di donne chine sui campi e disegni di spighe di grano e riso, mi è rimasta impressa solo la deduzione (fatta a posteriori, in età post-adolescenziale) che quei simpatici signorotti, dei quali faccio parte anche io, avevano un rapporto di amore e odio con il tempo. Non intendo il Tempo con la maiuscola, l’entità potente che regola la Storia (altra entità minacciosa), ma il tempo, quello a medio termine dei mesi che compongono gli anni e le azioni che bene o male i contadini erano costretti a intraprendere per sopravvivere (in questo caso sì, al Tempo). Ricordo certe raffigurazioni di personalità con decine di oggetti tra le mani e ognuna di quelle brave persone con la cuffietta in testa e le palandrane morbide aveva uno sguardo consapevole, come se avesse ben presente il perchè di così tante suppellettili. La didascalia di una di queste recitava Settembre. Allora io mi chiedevo, ma che razza di gioco è questo? Perchè mai dovrebbero raffigurare dei mesi, che sono puro tempo, cioè una cosa invisibile, come delle persone in carne ed ossa? Alla fine ho capito che queste raffigurazioni rappresentano ciò che vogliamo proteggere di quel mese, ciò che coltiviamo, quello che facciamo di tipico e forse anche un po’ ripetitivo. Rassicurante ciclo di vita del prodotto.

Appunto, Settembre. Ercole de’ Roberti nel Salone dei Mesi di Schifanoia (Ferrara) raffigura questo mese come un uomo agghindato con una veste dalle pieghe geometriche, spigolose e taglienti, perfetti giochi di luce. Le tre decadi sono personaggi bizzarri (ma anche il trionfo di Vulcano, un carro trainato da scimmie), tra le quali spunta un suonatore di tromba. No, io penso che se davvero Settembre fosse un musicista sarebbe un suonatore di flauto, uno di quegli indiani incantatori di serpi. Ho sempre subito il fascino di questo mese, perchè per me è in questi trenta giorni che il tempo (o il Tempo?) si rende visibile. Di tutti i mesi possibili, questo ha il potere di far rapprendere i secondi, raggrumarli in grosse gocce pesanti che cadono a terra duri come perle e lì rimangono, rischiano di farmi scivolare ad ogni passo. Per questo posso dire che, sin da piccolo, ho subito il suo fascino, odiandolo anche un po’.

Dopo i sei anni ha scandito (soprattutto la prima decade) il tempo della scuola, croce e delizia di chi termina una lunga vacanza: il diario da comprare, le matite da appuntire, i compiti da finire. Agrodolce, non c’è che dire, un misto di trepidante attesa e di insofferenza da relax. Settembre poi è stato il mese dell’inizio di ogni anno accademico, la ripresa degli studi e qualche volta, la burocrazia delle borse di studio, degli affitti e delle spese autunnali. Ora è il periodo del risveglio lavorativo, della ricerca di impiego, dei saldi e delle nuove collezioni di abiti. Ad accompagnarmi per tutta la vita invece è il senso del freddo che ritorna, dei tessuti che si fanno più pesanti, dell’umidità che torna e di quel malefico quartetto d’archi dei mesi che terminano in -bre e che tingono di ocra e poi di grigio i palazzi.

Insomma, maledetto Settembre che fa palesare davanti ai miei occhi le responsabilità della vita adulta e che mi fa sorridere a denti stretti. Maledetto Settembre che hai sostituito di diritto Gennaio quando devo associare un mese al termine “inizio dell’anno”; e maledetto Settembre che continui ad incantarmi con le tue moine da mese di transizione. Saluterò la stagione a modo mio.

CROSTATINA DI FROLLA MONTATA CON CONFETTURA DI PESCHE

Tempo: 110 min.

Classica crostata di rapida preparazione. Cercate di avere subito a disposizione della confettura adatta e la difficoltà si riduce alla preparazione della frolla.

Difficoltà: 3 di 10

Facile, anzi, facilissima ricetta. Non dovrete fare altro che mescolare, stendere, riempire, infornare.

Costo: basso

Ricetta di impatto, sfiziosa e facilmente trasportabile. Costerà qualcosa la marmellata (se non la fate voi e quella si conserva bene anche d’inverno, ndr) ma il resto è tutto ingredienti di base.

Ingredienti

– farina tipo 00

– burro a temperatura ambiente (2/3 del peso della farina)

– zucchero a velo (poco più di 1/3 del peso della farina)

– uova (1/5 del peso della farina)

– buccia di limone grattuggiata

– pizzico di sale
Cominciamo preparando la base di pasta frolla. Checchè se ne dica, esistono una miriade di procedimenti diversi per fare la frolla, a seconda del suo utilizzo: se la vogliamo più friabile, se la vogliamo più compatta, se deve sciogliersi in bocca, se deve fare da fondo, se vogliamo farci dei biscotti, eccetera. Inoltre esistono proprio dei procedimenti completamente invertiti l’uno dall’altra per ottenere impasti differenti: c’è chi crea la base “sabbiosa” (farina, zucchero e burro tritati grossolanamente e mescolati a mano senza amalgamarli), chi invece la vuole più morbida (mescolare le uova con il burro prima e aggiungere farina e zucchero in seguito). Noi vogliamo ottenere il composto più soffice, che stenderemo usando un sac-à-poche: sto parlando della cosiddetta frolla montata.

La procedura è la seguente: con l’aiuto di un frullino o di un robot da cucina mescoliamo il burro con lo zucchero a velo e la buccia di limone, fino ad ottenere una pomata. Sempre mescolando, incorporiamo un uovo alla volta, avendo cura di inserire il successivo solo a completo assorbimento del precedente. Continuiamo così fino a che il composto non si gonfia leggermente (e classicamente cambia colore, andando verso un bel giallo paglierino). A completo assorbimento, togliamo il composto dal robot e setacciamoci dentro la farina che mescoleremo con l’aiuto di un cucchiaio di legno. Quando il tutto sarà ben amalgamato, poniamolo all’interno del sac-à-poche. Ora, possiamo usare la bocca che desideriamo, per creare forme a nostro piacimento. Consiglio una bella apertura a stella, che fornira anche delle pieghe per la confettura. Su una piastra da forno (o leccarda, nome tecnico della placca) andiamo a creare una bella spirale tonda, così che si formi una base compatta più o meno di 8-10 cm di diametro. Su questa base creiamo un bordo con un altro giro di pasta frolla montata. Riponiamo il risultato in frigorifero per farlo indurire un po’ (ricordate che il burro si scioglie facilmente), diciamo per una quarantina di minuti. Inforniamo la base per 10-15 minuti a 180°, tanto da farla dorare leggermente.

Riposiamoci mentre aspettiamo che si cuocia la frolla, ponderiamo sulla meraviglia che quattro ingredienti mescolati in proporzioni diverse possono creare. Ecco, Settembre volente o nolente segue il fascino della frolla. Tra le foglie che cadono, il freddo che torna e una mistura ben congegnata di ricordi possiamo dire che dopotutto stiamo iniziando un altro anno (accademico, lavorativo, scolastico). Le briciole friabili della pasta sono un po’ come quelle foglie che cadono, poi siamo noi a dare il sapore che vogliamo al contenuto. Inoltre Settembre è il mese della bilancia, mica solo come segno zodiacale! Questo dolce è un richiamo voluttuoso alla pesa persone, ha lo stesso fascino della musa Euterpe e dei suoi malefici strumenti musicali. Altro che piffero indiano! Qui… ah, è pronta la frolla.

Estraiamo la base dal forno, lasciamola raffreddare per bene e poi farciamola di confettura. Se vogliamo (e ne abbiamo avuto l’accortezza), possiamo usare la frolla avanzata per fare qualche piccola decorazione che cuoceremo a parte (una rosellina, un fiore, un cerchietto, qualche pallina, delle S, quel che volete insomma) e che poseremo a nostro piacimento sulla marmellata. Direi che è pronta.

Considerazioni finali

La frolla ha un fascino irresistibile secondo me, nonchè un apporto calorico da urlo. Facciamo delle crostatine piccole piccole, che oltretutto sono facilmente trasportabili e di sicuro impatto se dobbiamo offrirle. Io ho deciso di usare la confettura di pesche perchè sono un ottimo frutto che ricorda il mese di Agosto e che possiamo portarci dietro per i mesi successivi, grazie anche al suo colore caldo e allegro. Inoltre si sposa maledettamente bene con la pasta frolla ed è un classico della pasticceria secca da crostata. Giallo e arancione poi sono davvero una bella accoppiata. Nulla toglie che possiate usare marmellate diverse, anche quelle di agrumi che con la loro asprezza contrastano bene con la dolcissima base.

Accompagnamento: yogurt intero

Sì, creiamo un ulteriore contrasto. Dolce+dolce della pasticceria e l’asprigno dello yogurt bianco possono stare bene. Inoltre croccantezza e cremosità sono un’altra accoppiata vincente. Non usate un vasetto intero, ne basta un cucchiaio colmo da assaporare alla fine del dolce, per riequilibrare i sapori sul palato. Se volete un plus, trasformate questo elemento in spuma, montando due parti di panna fresca e una di yogurt (aiutatevi posandola sul cucchiaio ancora una volta, è d’effetto).

Finzioni

31 Ago

Da bravo casalinguo (di fantozziana memoria) ho una predilezione per l’ambiente che siamo soliti chiamare cucina. Mi piace il calore che emanano il forno ed i fornelli, l’odore che si attacca ai mobili, i cassetti chiusi, gli strofinacci appesi, il rumore dei tegami che sbattono, le tovaglie stese sui piani, le sedie… insomma tutto o quasi. Altrettanto affetto provo per i televisori accesi che blaterano e ci tengono compagnia mentre spignattiamo e macchiamo di cibo le piastrelle dei fuochi; programmi di cucina s’intende. Eccezione accettata sono le soap-opera, quei prodotti da false confidenze intime, quegli intrugli di amori gonfiati come le nuvole del temporale e sciolti come i nodi degli auricolari. Mi piace seguirli come si segue il telegiornale, con un orecchio solo e senza guardarlo. Mi piace il tono affettato con il quale si sviscerano passioni all’altro sesso e come si sciolgono dubbi su intricati casi di adulterio; alla fine son questi i temi delle fiction.

Appunto: fiction, finzioni. Imitazioni poco mimetiche della realtà. Aspirazioni, sogni? Forse, magari qualcuno si augura davvero di vivere una volta nella vita una storia d’amore come quella delle soap. “Un amore da soap” si dice infatti, forse più per indicare un flirt breve ma intenso che il legame eterno. Non divergiamo però, stavamo parlando di finzioni. Il fatto è che la fiction ci si presenta anche fuori dallo schermo, anzi, soprattutto fuori. La troviamo in ogni anfratto, pure nell’ombra dei nostri passi. I palazzi in ristrutturazione sono coperti da un telone che ne riproduce la facciata (secondo le più moderne pratiche di visual marketing), gli uomini gonfiano i propri muscoli per nutrire gli osservatori della loro vera (o presunta) mascolinità, le persone fingono di non vedere ciò che non si accetta. Si finge, punto. A volte si finge anche con gli amici, per non farli soffrire oppure per resistere alla tentazione di mandarli a quel paese. Per molte ragioni nascondiamo i nostri pensieri, la maggior parte delle quali per un bene superiore.

Vi dirò di più, la cucina è finzione. Un vezzo, un insieme di orpelli composti e o apparentemente caotici che all’occhio ispirano gusti, pensieri, ricordi. Del resto, cosa facciamo quando copriamo una torta  con della panna? Non stiamo forse camuffandola? Gli americani creano decorazioni finissime su pasticcini e cupcakes per mimetizzarli: fiorellini di zucchero, crema di burro colorata per dare volume, glasse per mascherare, fondanti per oggetti in rilievo. Una finzione insomma. E poi, mica si camuffa solo con gli occhi, si può celare un particolare anche agli altri sensi, a volte salvando intere portate.

Insomma, fingiamo spesso e parecchio, a fin di bene. Per questo vi suggerisco una ricetta deliziosamente regionale (Emilia-Romagna s’intende), un vero inno alla finzione. Faremo letteralmente di tutto per trasformare un insieme di ingredienti in qualcosa che, al palato, non ricorda nemmeno lontanamente l’aspetto finale.

PESCHE ALL’ALCHERMES

Tempo: 100 min.

Quello proposto è un dolce di facilissima esecuzione e di altrettanto semplice composizione: cuocere, scavare, farcire, unire, aspettare. Indicativamente il tempo di un film, dall’apertura del frigorifero per recuperare gli ingredienti alla sua chiusura per far raffreddare il prodotto terminato.

Difficoltà: 5 su 10

Su una scala decimale, questa ricetta è di media difficoltà, suderete solo per il calore del forno. Abbiamo pure bisogno di pochissimi utensili e il procedimento più complesso sta nell’usare un cucchiaino per scavare i biscotti. A panare (o inzuccherare in questo caso) il prodotto finale ci si mette poco, dovremmo avere già qualche esperienza con le fettine alla milanese.

Costo: medio-basso

La cosa più costosa è il liquore. La nota positiva è che viene venduto anche in bottiglie da 500ml per un costo quasi irrisorio. Farina, burro e uova dovrebbero essere alla portata di tutti.

Ingredienti

Per circa 15 pesche

– 500 grammi farina bianca tipo 0

– 100 grammi burro a temperatura ambiente

– 360 grammi zucchero semolato

– 2 bustine vanillina

– bustina lievito in polvere per dolci

– 3 uova fresche + 6 tuorli

– 600 ml latte intero

– 25 grammi amido di riso

– 25 grammi amido di frumento

– sale q.b.

– alchermes q.b.

D’accordo, ad elenco redatto sembra difficile ma, a costo di ripetermi, non lo è affatto. Per prima cosa mescolate in un colpo solo tutta la farina, 175g di zucchero, burro (a temperatura ambiente, in modo tale che si amalgami subito e non crei piccoli grumi da pasta brisée), lievito, 3 uova intere, una bustina di vanillina, un pizzico di sale. Ricordate poi che quest’ultimo va aggiunto ben lontano dal lievito, sennò quest’ultimo perde le sue proprietà (i batteri schiattano) e addio crescita in forno. Comunque, potete decidere se fare tutto a mano (molto divertente sporcarsi ogni tanto, sentire fra le dita gli ingredienti che si impastano) oppure se aiutarvi con un’impastatrice. Nel caso usaste un robot da cucina, vi consiglio di aiutarvi con l’attrezzo adatto per impastare (quella specie di agglomerato di barrette metalliche curvate) e non lo sbattitore/fruste, perchè il composto che risulterà sarà piuttosto corposo all’inizio, di difficile duttilità. Quando gli ingredienti saranno ben amalgamati, unite una parte del latte. Quanto? Direi che qui dovrete fare ad occhio; indicativamente quanto basta per creare un composto liscio e lavorabile a mano. In altre parole non troppo liquido e non troppo solito. Facciamo sui 70-80 ml, poi sta a voi capire quando è pronto. Il risultato deve essere una pasta gialla, molto elastica e molto appiccicosa.

Ora dovrete lavorare il composto in modo tale da creare delle palline del diametro di 2 cm circa da disporre sulla teglia da forno. Potete aiutarvi con due cucchiai oppure infarinarvi le mani a più riprese e prendere direttamente in mano le palline. Il primo metodo sarà più approssimativo, il secondo un po’ più preciso. Al contrario il primo vi permetterà di sporcarvi meno le mani mentre il secondo sarà da vero pasticcio. A voi la scelta., ricordate solo che questi cresceranno abbastanza, quindi distanziateli parecchio, fate più infornate se necessario. Adesso infornate a 180° per circa 15-20 minuti. Vedrete formarsi delle piccole colline bianche, molto compatte e fragranti. Non fatele cuocere troppo, non fatele scurire in superficie, sennò sembreranno delle pesche troppo mature quanto le intingerete nel liquore. Sfornatele ancora morbide, all’aria si raffredderanno.

C’è una sola difficoltà in questa ricetta, ma siamo ben lontani dal considerarlo un ostacolo di accostamenti di gusti. Si tratta di un accorgimento tecnico e qui non si può che fare tutto ad occhio, bisogna conoscere la propria mano e fidarsi del potere umido del proprio forno. Infatti dovremo, a cottura ultimata, unire le due estremità dei biscotti per far sì che somiglino il più possibile a pesche. Bordi tondeggianti e soprattutto misure combacianti. Facile? Non proprio. Che seccatura riuscire ad accoppiare tutti i biscotti e poi accorgersi che l’ultimo duetto stona! Come aggirare il problema? Semplicissimo: create lo stesso il mostro finale, dategli la vita iniettandogli la linfa vitale (alias la crema), irroratelo di sangue liquoroso, ricopritelo di zucchero e poi addentatelo voi stessi. Vi servirà per testare il risultato finale e… fingere che tutto sia perfetto. Camuffare, ancora una volta.

Non stiamo con le mani in mano però, intervalliamo le infornate/sfornate con la preparazione della crema pasticcera. Procedimento veloce e indolore: unite i sei tuorli freschi con il restante zucchero, sbattere fino all’ottenimento di una spuma biancastra (non sarà mai candida, lo zucchero non fa miracoli, anche sciolto). Teniamoci da parte un bicchiere (facciamo 200 ml per gli amanti della precisione) di latte freddo ed il resto (saranno suo 300 ml circa, se la memoria non  mi inganna) mettetelo sul fuoco (moderato) con una busta di vanillina. Mentre il fuoco rallegra le particelle grasse del latte, unite alla spuma di tuorli i due amidi, mescolate ed infine aggiungete il bicchiere di latte tenuto da parte. Il risultato sarà a metà strada fra denso e liquido. Ora, versate questo composto nel latte sul fuoco (che starà sobbollendo), dopodichè mescolate con la vostra fidata frusta fino ad addensamento totale della crema. Spegnete il fuoco, travasate la crema in un contenitore a chiusura ermetica (oppure in un contenitore normale sul quale metterete della pellicola trasparente a contatto con il composto) e lasciate intiepidire per bene.

E’ arrivato il momento finale: la composizione del piatto. Scavate i biscotti con l’aiuto di un cucchiaino, stando attenti a creare una conca abbastanza profonda ma tanto da non lasciare le pareti troppo sottili (devo sentire ancora il sapore del biscotto in bocca). Riempiamo tutte le conche con la crema pasticcera (con l’aiuto di una sac-à-poche, ma anche un cucchiaio va bene), poi facciamo combaciare le due estremità così da creare una sfera. Meglio se non risulta perfetta, avremo qualche escrescenza che renderà la pesca più “naturale” (un espediente per la finzione madre). Mettiamo l’alchermes in un piatto fondo e dello zucchero bianco in un altro: saranno le nostre due “piscine”. Il procedimento ora è quello dell’impanatura delle fettine: bagniamo leggermente le pesche con l’alchermes e poi tuffiamole nello zucchero. Adagiamole su di una graticola e poniamole nel frigo a raffreddare e indurirsi leggermente. Se vogliamo possiamo decorarle con delle foglioline di ostia, così da poterle far sembrare ancora più reali.

Pesche all'alchermes

Eloquente immagine scattata da Diego Bordignon

Considerazioni finali

Che dire, fate attenzione ad un paio di cose. L’effetto finale che vogliamo rendere qui è quello del frutto, non del doppio biscotto farcito. Quindi evitate l’errore (che ho fatto io modestamente) di riempire troppo le conche dei biscotti con la crema pasticcera, rischierete di vederla strabordare dalle giunture della pesca, creando un senso di spaesamento in chi la prende in mano (“Ma cos’è? Un frutto o un dolce? Che è sta cosa gialla che esce? Oddio, sarà mica marcia? No no, non la mangio”. Ecco, evitiamo queste situazioni imbarazzanti). Inoltre, non bagnatele troppo nel liquore: il biscotto è molto spumoso e rischiamo lasciandolo in ammollo per troppo tempo, di farlo diventare una specie di grumo morbido. Se lo passassimo nello zucchero poi… immaginate il disastro, si prosciugherebbe, diventerebbe molto più dolce di quello che già non è e rischiereste di far venire il diabete. Comprate le foglioline di ostia, non vi azzardate a cimentarvi nella preparazione perchè è uno di quei prodotti squisitamente da laboratorio. Non fate sì che il tempo di preparazione di questo dolce quadruplichi. Infine, sembrerà un dolce iper calorico ma non lo è: la quantità di zucchero nel biscotto è ridotta, l’ingrediente principale è la farina che fa da collante. Il latte è intero ma si può usare anche quello scremato, abbassando il tutto di qualche caloria. Carboidrati, zuccheri, grassi del latte (e della crema, l’unica porcata vera), le proteine delle uova, insomma un prodotto completo. Ecco fate così allora, mangiate solo questa a pranzo e dovreste essere a posto fino a cena. Oppure fregatevene e andate a fare sport il giorno dopo.

Accompagnamento: prosecco

Finzione per finzione, andiamo fino in fondo. Le pesche bagnate col prosecco sono una leccornia. Non facciamo caso se quelle che abbiamo fatto noi non sono veri e propri frutti; un piccolo contrasto tra il dolce del dessert e il gusto del vino ci sta e rende bene.