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Crescionda

3 Lug

Mi perdonino tutti coloro i quali sono affezionati al binomio ricetta-regione di appartenenza. Scuoteranno la testa per la mia scelta sbagliata ma ho un motivo valido: questo dolce mi è stato imposto da Anna, madre di Andrea, la quale ci delegò nel realizzarlo per la cena. Perciò ecco, in verità questo è un ulteriore ringraziamento alla famiglia B. che mi ospitò.

CRESCIONDA (almeno 10 persone)

Tempo: 40 minuti

30 minuti sono di cottura, per il resto si tratta solo di amalgamare senza prestare attenzione. Almeno, un minimo di attenzione ci vuole.

Difficoltà: bassa

Come dicevo prima: amalgama, versa, inforna. Fa tutto lei.

Costo: basso

Se vi dico che la cosa più cara sono gli amaretti è dir tanto. Ah sì, ci sta il liquore, ma quello si riutilizza anche per altri scopi.

Ingredienti

– 4 cucchiai di farina 00

– 4 cucchiai di zucchero semolato

– 4 uova intere

– 100 grammi di cioccolato fondente grattugiato

– 200 grammi di amaretti

– 500 ml di latte intero

– un bicchierino di mistrà

Le scuse che ho anticipato riguardavano il fatto che in verità questo dolce ha origini umbre e non marchigiane, venendo da Spoleto. Inoltre è un dolce che poco si adatta al periodo estivo, dato che ha origini carnevalesche. Pazienza, del resto non lo faccio per onore dell’alta cucina. Cominciamo.

Molto bene, partiamo subito dicendo che è dannatamente facile, così spavento tutti i lettori. Prendete le uova e sbattetele insieme allo zucchero, finché il composto non diventa spumoso. Prendete poi un amico e costringetelo a sbriciolare gli amaretti, nonché a grattugiare il cioccolato fondente. Andrea in questo caso è stato il fidato braccio destro.

Ora versate nel composto gli altri ingredienti in quest’ordine: latte, farina, amaretti, cioccolato. Mescolate per bene finché non sarà tutto ben distribuito. Mentre accendete il forno a 180° vi racconto come salterà fuori il dolce. Ebbene, a dire il vero che il composto sia amalgamato alla perfezione poco ce ne cale, dato che d’un tratto gli ingredienti si separeranno come l’acqua con l’olio. Gli amaretti sbriciolati andranno in superficie, sul fondo si stratificherà il cioccolato fuso e il resto del pappone sarà il dolce vero e proprio. Una piccola magia non c’è che dire, non vi sto nemmeno a spiegare perché.

Molto bene, adesso dobbiamo soltanto aggiungere il liquore. Abbiamo scelto il mistrà perché era in casa; ciò non toglie che altri distillati possano andare benissimo. Metti la sambuca, metti il Borghetti, metti quel che ti pare. Magari non i macerati come il limoncello o il nocino, il resto può andare bene. Qualcuno ci aggiunge anche dello zeste di limone grattugiato ma noi ce ne freghiamo e lo evitiamo, così il dolce non ha un sapore troppo forte d’estate, alla faccia del caldo (che non c’è stato).

Versate finalmente il composto dentro una bella tortiera possibilmente imburrata e infarinata e infornate il tutto per 30 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare, così si solidificherà. Il risultato dovrebbe essere questo più o meno.

Quel che dovrebbe venire fuori

Quel che dovrebbe venire fuori

Sì ecco, perdonate la bassa qualità dell’immagine, dovevo catturare la scena in un attimo. Suvvia, l’aspetto rustico si riflette anche nella fotografia no?

Considerazioni finali

Che dire, una ricetta paesana molto semplice ma che è risultata azzeccatissima con il clima tempestoso dei miei giorni di vacanza. Il cioccolato fa sempre tanto calore. E’ stata apprezzata, sì. Mangiatela piano, è pesante e un po’ budinosa.

Accompagnamento: mistrà

La regola è: se metti del liquore nel dolce tenta sempre di ripresentarlo come accompagnamento, se lo richiede il pubblico. Il dolce lo richiamerà a gran voce non appena lo assaggerete.

Confettura di pere e amaretti

27 Mar

Inevitabilmente la ricetta di questo periodo così brioso e primaverile (credici) non poteva che essere un dolce invernale.

CONFETTURA DI PERE E AMARETTI

 

Tempo: 1 ora e 20 minuti

Perderete più tempo a cuocere che a sbucciare e tagliare.

Difficoltà: molto bassa

Vi farete più male a sbucciare e tagliare che a cuocere.

Costo: basso

Ve la caverete con 5 euro di spesa se sapete scegliere la qualità giusta di frutta. Gli amaretti nel caso costano poco. Potreste pure farli in casa… mmmh… mi sa che ho un’altra ricetta in mente per le prossime volte.

Ingredienti

– 1 kg e 200 grammi di pere (a voi scegliere quali)

– 300 grammi di zucchero semolato

– una dozzina di amaretti

– succo di mezzo limone (facoltativo)

– qualche pinolo (facoltativo)

Evviva! Ci voleva un po’ di ritorno alle origini, usare una ricetta talmente facile da poter essere sbagliata in duecento modi diversi. La verità è che per fare la marmellata non esistono davvero delle proporzioni stabilite assolute e inderogabili, non esiste un “Manuale perfetto del bravo marmellatore” e, a quanto io sappia, nemmeno un’Associazione Mondiale Marmellate (AMM, onomatopeico). Tuttavia, due gli elementi fondamentali da tenere in considerazione: il grado di gelificazione della frutta e la dolcezza. Ma andiamo con ordine:

Mi piace quando appiccica. Niente malizia, è vero. L’aspetto colloso e trasparente tipico delle confetture (sì, perché in verità la marmellata è solo quella di agrumi, il resto sono confetture. Un po’ come in inglese la differenza tra marmelade e jam) è dato da una sostanza chiamata pectinaun enzima che si trova in tutta la frutta ma in percentuali diverse. In pole position per contenuto di pectina abbiamo le mele, seguite dalle arance; in terza posizione abbiamo le pesche.

La confettura s’ha d’essere dolce. Inutile schivare gli zuccheri per fare cose dietetiche, la marmellata deve essere dolce. E’ un elemento del mattino, abbiamo tutti bisogno di energie, perciò insomma, facciamocelo andare bene. Sappiamo bene che non tutte le qualità di frutta hanno lo stesso accento zuccherino, anzi, anche all’interno di una stessa tipologia di frutto abbiamo varianti più o meno dolci. Guardate le mele: riconoscereste ad occhi chiusi una renetta da una granny smith.

Tenendo conto di questi due elementi, facciamo attenzione a come dosiamo gli ingredienti. Cominciamo.

Prendiamo le pere, laviamole accuratamente e sbucciamole una ad una. Non togliamo del tutto lo strato esterno, perché in verità la pectina si trova principalmente sulla buccia e non nella polpa. Indi per cui, lasciamone un po’. A questo punto tagliamo le pere a tocchetti, buttiamole in una pentola capiente e sommergiamole dallo zucchero. Dopo una buona mescolata, lasciamo a macerare per una trentina di minuti. Cosa succederà? Le pere a contatto con gli zuccheri rilasceranno la benedetta pectina (e un po’ di succo), la quale si depositerà sul fondo.

Evviva! A questo punto, dopo che avremo avviato il processo di gelificazione, concludiamolo dando il secondo colpo di grazia alla pectina: il calore. Detto in parole povere, accendiamo il fuoco e rigirando, portiamo a bollore. A questo punto abbassiamo la fiamma e lasciamo macerare, mescolando di tanto in tanto, più frequentemente verso la fine della cottura. Il processo sarà più o meno questo:

Confettura di pere e amaretti

Confettura di pere e amaretti

Con il passare del tempo succederà questo:

Confettura di pere e amaretti

Confettura di pere e amaretti

Praticamente la polpa si scioglierà e la confettura assumerà man mano una caratteristica semi-trasparenza. Se non amate le confetture “a pezzi”, vi consiglio di schiacciare un po’ la frutta oppure di passarla al frullatore ad immersione per qualche secondo. Ottenuto il risultato sperato, non ci resta che fare la cosiddetta prova della cucchiaiata, per capire se è pronta la confettura. Insomma, su un piatto freddo mettiamo una noce di prodotto e poi incliniamolo. Se questo scivolerà con lentezza vuol dire che è pronto. Se non scivola l’abbiamo ridotta troppo (ed è una purea), se scappa è ancora liquida e va fatta ridurre ulteriormente.

Adesso sbriciolate qualche amaretto dentro il composto ancora caldo e mescolate. Se lo desiderate aggiungete anche qualche pinolo. Ora prendete un bel barattolo a chiusura ermetica (ne vendono ovunque nei negozi di casalinghi, ma anche nelle catene di supermercati ce ne sono) accuratamente lavato (meglio se bollito) ed asciugato. Metteteci dentro la confettura fin quasi all’orlo e chiudete ermeticamente. Per evitare l’arrembaggio dei batteri si consiglia di far bollire di nuovo il tutto con il composto dentro. Se decidete però di consumarla entro breve allora non lagnatevi con questi passaggi e limitatevi a chiudere il barattolo. Il risultato sarà questo.

Confettura di pere e amaretti

Confettura di pere e amaretti

Considerazioni finali

Come dicevo in apertura, esistono certe variabili di zucchero nella stessa tipologia di frutta. Per la ricetta attuale ho usato le pere williams che sono piccole e molto compatte, meno delle abate di sicuro. Hanno un grado zuccherino che, su una scala da 0 a 5 sta a 2,5 (mentre le abate sono a 1). Ancor meglio (soprattutto per la stagione), sono le kaiser, più dolci (diciamo un 3,5) ma sicuramente più farinose e facili da sciogliere; oltretutto userete meno zucchero.

La scelta degli amaretti, così dolci, vi potrebbe permettere di diminuire drasticamente e ulteriormente la quantità di zucchero. A me piace dolce, quindi me ne sono fregato e via con una classica proporzione 1 a 3 (100 grammi di zucchero ogni 300 di prodotto pulito). Il pinolo spegne un po’ questa dolcezza infinita dando un tocco un po’ amaro, spezzando anche la vellutata sensazione della confettura classica.

Accompagnamento: fette biscottate

Quando penso alla marmellata è indubbio che mi venga in mente la colazione, non si scappa. Se la fetta biscottata è integrale ancora meglio, un contrasto un po’ diverso e sempre meno dolce. Pensa te, faccio la confettura di pere e mi ritrovo a spegnerne la naturale dolcezza con duemila espedienti. Devo essere scemo.

Torta di semolino

4 Mar

TORTA DI SEMOLINO

Tempo: 2 ore o poco meno

La maggior parte del tempo verrà occupata dal tempo di riposo della frolla, per il resto la preparazione è rapidissima.

Difficoltà: bassa

Qui si tratta solo di mettere assieme tre composti diversi (frolla, pappa di semolino e copertura), una semplice stratificazione che – al massimo – richiederà una punta di rapidità nel lavorare il semolino caldo.

Costo: medio-basso

Penso che la cosa più costosa qui sia la ricotta che mantiene comunque prezzi contenuti. Il resto è tutta materia prima che un cuoco abituale ha in casa. A parte il semolino forse.

Ingredienti

Per la frolla:

– 125 grammi di farina 00

– 75 grammi di burro

– 100 grammi di zucchero semolato

– 3 tuorli d’uovo

– un pizzico di sale

– zeste di limone

Per la pappa di semolino:

– 125 grammi di semolino

– mezzo litro di latte intero

– 200 grammi di zucchero semolato

– buccia di mezza arancia

– 350 grammi di ricotta fresca

 

Ah, il semolino! Direi che questo prodotto è un buon discrimine che allontana la mia generazione dal quella dei miei genitori. Oggi lo si usa poco (pochissimo) ma un tempo la cucina tradizionale era solita utilizzarlo come materia prima di sostentamento. In verità tutt’ora utilizziamo la semola nella produzione classica, essendo questa null’altro che la farina derivata dal grano duro (mentre si usa il termine generico di farina per indicare quella classica di grano tenero). Il semolino deriva sostanzialmente da un’ulteriore macinazione della semola, riducendone pertanto la sgranatura (la grandezza del chicco).

La ricetta che vi propongo oggi è di derivazione toscana, prevede l’utilizzo del semolino come principale protagonista della farcitura, arricchita da alcuni elementi aromatizzanti, come la buccia d’arancia. Infine, è possibile fare una copertura della torta di semolino, a vostro completo piacimento.

Torta di semolino

Torta di semolino

Bene, cominciamo dalla frolla. La preparazione della base è molto semplice: uniamo farina, zucchero, sale, burro e la buccia di limone, impastando sfarinando il composto fino a giungere ad uno sbriciolato (un po’ come proponevo in chiave diversa qui). Adesso aggiungiamo i tuorli e impastiamo fino a creare la classica palla gialla e compatta. In verità questa volta il burro non sarà un potentissimo collante, lasciando il composto leggermente più ruvido e tendente a disgregazione. Il risultato sarà però una frolla delicata e farinosa. Adesso incartiamola nel cellophane e riponiamola in frigorifero per un’ora, deve riposare.

La pappa di semolino invece non ha bisogno di riposo, anzi, deve essere fatta abbastanza in fretta, sennò il semolino cotto si rapprende e diventa un pezzo di marmo, compromettendo la delicatezza della farcitura. Insomma, non vorrei mai vedervi costretti a passare il semolino nel passapomodori per sgranarlo. Attendiamo pertanto una mezz’ora, quaranta minuti e poi iniziamo a fare la crema. Mettiamo sul fuoco il latte a fiamma moderata, prendiamo a parte la ricotta e mescoliamola allo zucchero, al quale va poi aggiunta la buccia di arancia. Quando il latte sta per bollire, mettiamoci dentro il semolino e mescoliamo in fretta. Questo assorbirà rapidamente tutto il latte e si indurirà leggermente. Continuiamo a mescolare energicamente fino a che il composto non inizierà a staccarsi dalle pareti del pentolino. A questo punto leviamolo e, ancora caldo, versiamolo sulla ricotta “arricchita”. Mescoliamo nuovamente e lasciamo leggermente riposare.

Stendiamo la frolla ad un’altezza pari a 6-7 millimetri, soprattutto se, come me, utilizzate una classica teglia tonda da 26 cm di diametro. Nel caso ne usaste una più piccola (per ottenere un dolce più alto), alzate la frolla a un centimetro. Ricordate però che, a tortiera più piccola corrisponde cottura più difficoltosa soprattutto al centro del dolce. Bene, dopo aver steso la frolla versateci sopra il composto di semolino, livellate per bene e mettete in forno a 160-170° per 45-50 minuti.

La copertura. Ricordo che io feci una classica stratificazione di cioccolato, una cosa semplice. Per questo basta prendere 200 grammi di cioccolato e 100 ml di panna fresca, sciogliere il cioccolato, metterci sopra la panna calda e mescolare. Questa specie di ganache va messa sul dolce raffreddato e lasciata solidificare per un’oretta. Poi ecco, potete mangiarla!

Accompagnamento: pensieri sparsi

Non me la sento di accompagnare questa torta a qualcosa da bere, non ha senso, soprattutto per come è scaturito il ricordo. Il semolino rappresenta per me la tradizione, il calore della casa e un passato indefinito che in qualche modo mi dà sicurezza. Placida tornava a casa e trovava la mamma con la torta pronta; io in qualche modo faccio lo stesso.

Considerazioni finali

Come avete visto non c’è nulla di difficile nel dolce, basta un po’ di velocità. Il semolino è un prodotto dal gusto non troppo acceso che ben si presta a fare da legante tra altri elementi, come in questo caso la buccia d’arancia e la copertura di cioccolato. Oltretutto, data la trasmissibilità di sapori del semolino, consiglio di non eccedere troppo negli aromi, a meno che non siate degli amanti di qualche particolare elemento. Ad esempio, io consiglio di mettere lo zeste di mezza arancia e non una intera, proprio per non accentuarne troppo la presenza. La frolla no, copre tutto, il limone si sentirà ma mica tanto. Un’ultima cosa: come dicevo la copertura è a piacimento, ad esempio si può fare qualcosa con la frutta secca, delle noci sarebbero l’ideale per dare un po’ di croccantezza (magari sostituite l’arancia con altro, che so, una goccia di aroma di mandorla oppure delle mandorle sbriciolate nell’impasto). Ci sono diverse varianti da provare. Se avete idee proponete!

Torrone morbido

24 Dic

TORRONE MORBIDO

Tempo: 3 ore e 30 minuti

Vi ho fregati: il dolce è banale ma la preparazione lunga e precisa.

Difficoltà: alta

Vi ho fregati di nuovo: c’è da stare attenti coi tempi, con le temperature, con il dosaggio degli ingredienti. Insomma, c’è da spazientirsi. Si sa, Natale vuole che ci si cimenti con dolci elaborati.

Costo: medio-basso

Vi frego per la terza volta: a dolce complesso non sempre corrisponde un costo elevato. Qui le uniche cose che costano sono le mandorle (e i pistacchi), per il resto son tutti prodotti di base. Massimo massimo andate a spendere una decina di euro.

Ingredienti

– 100 ml di acqua

– 200 grammi di miele (qualsiasi tipo, decidete voi)

– 200 grammi di zucchero semolato

– 300 grammi di mandorle

– 150 grammi di pistacchi

– 2/3 albumi d’uovo

– fogli di ostia

Benissimo, avevamo parlato di un dolce banale ed eccolo qua: il classicissimo torrone morbido; ma prima della ricetta un po’ di storia.

Come accade per le parole di uso comune, tutti i dolci più conosciuti e semplici hanno origini brumose. Alcuni dicono che il torrone derivi dal Torrazzo, torre campanaria della città di Cremona, dove pare sia comparso per la prima volta nel primo Rinascimento (clamoroso periodo di sperimentazioni culinarie, non come il pan di spagna, di cui abbiamo già parlato, che viene ben tre secoli dopo); altri vogliono che invece derivi dal latino torreo (abbrustolire), ma anche dall’arabo turun. Insomma, fatto sta che nessuno davvero sa da dove venga sto torrone maledetto. Io personalmente propendo per la versione araba/orientale, se non altro per la fortissima presenza di prodotti tipici dei territori asiatici, il miele e la frutta secca, ampiamente usati nella pasticceria turca. Nulla ci vieta di pensare che la mandorla (tipicamente orientale) sia stata generosamente arricchita dagli Arabi che in seguito hanno influenzato la cucina dell’Occidente, durante le loro conquiste.

Bando alle ciance, iniziamo. Per prima cosa mettiamo sul fuoco il miele a bagnomaria e lasciamo che cuocia per un’ora e mezza, mescolando di tanto in tanto. Una mezz’ora prima del termine della cottura, andiamo a creare uno sciroppo unendo su un altro fuoco l’acqua e lo zucchero. Portiamoli a bollore controllando accuratamente la temperatura, la quale non deve superare i 140°. Muniamoci di un termometro da dolci, il quale ha un costo non troppo elevato (si aggira tra i 10 ed i 20 euro per chi fosse interessato). Se cucinate con solerzia sicuramente ne avrete bisogno, non esitate ad acquistarlo. Del resto, se state prendendo in seria considerazione l’idea di fare il torrone come dolce vuol dire che siete cuochi metodici, perciò sì, ecco, compratevelo.

Molto bene. Quando la temperatura dello sciroppo raggiunge i 100°, agevolatevi cominciando a montare a neve fermissima i bianchi d’uovo, possibilmente con l’aiuto di qualcuno. Dico questo perché avrete bisogno di entrambe le mani libere per effettuare il passaggio successivo. Infatti non appena si sarà creato il composto a neve, versate a filo sugli albumi prima il miele e poi lo sciroppo di zucchero. Continuate a sbattere finché non inizierà ad indurirsi.

A questo punto ritagliate i fogli di ostia secondo la dimensione base del contenitore che volete utilizzare. Anzi, tagliatene subito due, uno per la base e uno per la sommità. Mentre il composto monta ulteriormente, sminuzzate a pezzi grossolani sia le mandorle che i pistacchi ed uniteli all’amalgama, opportunamente quando il tutto sarà ben montato, altrimenti si incastrerà tutto nelle fruste.

Adagiate quindi il foglio di ostia sulla base del contenitore, versate il composto, livellatelo e infine ricoprite con un secondo foglio di ostia. Ponete in frigorifero almeno almeno 3 ore e poi potrete tranquillamente tagliarlo e papparvelo.

Considerazioni finali

Esistono sostanzialmente due varianti del torrone: morbido e duro. La differenza base per ottenere il primo o il secondo sta nei tempi di cottura. Se avete una notte da perdere e volete un torrone spacca denti, andate a cuocere il miele per 12 ore, vi divertirete, giuro. Almeno finché non inizierete ad avere le visioni alle 4 di mattina, dopo aver passato le precedenti cinque ore a guardare repliche di Sentieri sui Rete4. Per la prima versione, ovvero quella da me adottata, basteranno sostanzialmente due ore di cottura, minuto più, minuto meno.

Inoltre la cosa bella di questo dolce è che, nel limite della frutta secca, potrete sbizzarrirvi sul contenuto. Io ho usato mandorle e pistacchi perché danno colore ma voi potete usare pinoli, nocciole, uva americana e – perché no – pure albicocche disidratate. Tanto il dolce è pesante, andiamo fino in fondo.

Accompagnamento: mazzo di carte del Mercante in fiera

Il torrone è l’ultimissima cosa che si ingurgita al pranzo di Natale, quella cosa per il quale serve obbligatoriamente il secondo stomaco. Non bevete nulla, è inutile. Piuttosto sgranocchiatelo mentre fate le vostre puntate al Mercante in fiera, altro classicone natalizio. Lo ammetto, a me fa sempre piacere pensarci, forse quest’anno replichiamo e ci faremo delle grosse partite. Tanto so che la mia carta simbolo è l’Asino, mentre io vorrei tanto essere l’Ancella o la Paradisea. Voi che carta siete?

Scontato!

9 Dic

Dopo un paio di mesi torno a scrivere di cucina. Due le domande. Perché hai deciso di andartene? La prima risposta è semplice: non avevo nulla da dire, niente che significasse qualcosa di sufficientemente personale ma non troppo condivisibile; e poi ho lavorato molto, ho fatto e disfatto, ahimè lontano dai fornelli. Bisogna sacrificare qualcosa ma non è mai per sempre.

La seconda domanda sorge altrettanto spontanea, perché hai deciso di tornare? La risposta è molto simile alla prima, torno ad avere qualcosa da spiegare. Questa volta però non lo faccio con spirito di condivisione, bensì come risposta ad un affronto perpetrato a lungo, sottile e muto, un coltello che non ha riflesso la luce e si è avvicinato al buio, punzecchiandomi.

La verità è che mi sono reso conto di essere molto ripetitivo, lento e prevedibile. In altre parole, risulto scontato. Non solo ciò che faccio viene comunicato più velocemente delle mie stesse azioni, ma  altrettanto disarmante è il fatto che i miei discorsi sono una serie di “già detto”, “già fatto” e “già visto”. Mi sembra di camminare talmente lento da farmi superare persino da me stesso, se solo ne fossi capace.

Scrivo apposta questo articolo, dedicandolo ad un dolce classicissimo e, come me, scontato. Per farvela sotto il naso, ci aggiungo una serie di accorgimenti che renderanno il risultato migliore del solito, augurandomi e minacciandovi: un giorno saprò raccontarvi cose che nessuno di voi si sarebbe aspettato.

TORTA DI MELE

Tempo: 90 min.

A farla ci vuole niente, a cuocerla invece perderete tempo. Meglio, il vostro forno perderà tempo, dato l’elevata quantità di mele e quindi il copioso rilascio di succo. Potrete terminare la cottura in anticipo, ma ve lo spiegherò dopo.

Difficoltà: 3 su 10

Più facile di così non esiste, bisogna mettere quasi tutto assieme. State attenti a sbucciare solo le mele e non le vostre dita.

Costo: basso

Le mele costano poco, soprattutto dato che si sta parlando di torte invernali e la frutta in questione è sostanzialmente di stagione in periodi freddi. La farina si compra così, con meno di un euro.

Ingredienti

– 125 grammi di burro

– 250 grammi di farina 00

– 2 zeste di limone

– 125 grammi di zucchero

– 3 uova

– 150 ml di latte

– 1000 grammi di mele (a vostra scelta)

– una pera kaiser

– lievito per dolci

– cannella in polvere

– zucchero di canna

– vanillina

– un pizzico di sale

Molto bene, iniziamo. La base è facile facile, mettete assieme burro, zucchero, uova, vanillina e sale. Sbattete forte finché non ne uscirà un composto piuttosto grumoso (è il burro, sappiatelo). Non allarmatevi, è così che deve venire per ora.

A questo punto aggiungete la farina al composto, alternandola al latte. Infine aggiungiamo la buccia grattuggiata dei due limoni, altresì detti zeste, e il lievito per dolci. Il risultato finale sarà una specie di crema piuttosto appiccicosa, l’ideale colla per tenere insieme le mele. Diciamola tutta: qui la base è un gran bel pretesto per far stare in un posto solo una quantità imbarazzante di frutta.

Infatti adesso ci tocca il lavoro duro: arrotoliamo le maniche, laviamoci le mani e cominciamo a sbucciare le mele, privandole pure del torsolo centrale. Attenzione, tenete da parte 3-4 semini interni, ci serviranno dopo. Sbucciate anche la pera e tagliate tutta la frutta a lamelle o a pezzetti abbastanza piccoli. Più sono minuscoli e prima si cuoceranno. Sbattete ora mele e pera nel composto colloso, dateci dentro con le braccia e mescolate, mescolate, mescolate. Infine, metteteci dentro anche i semini di mela.

Imburrate una teglia di 28 cm di diametro (bella larga, così cuoce meglio), infarinatela e versateci il composto. Cospargete la superficie di zucchero di canna e cannella in polvere. Non tanto, solo per dare colore. Ora infilatela in forno a 180° per un minimo di 60 minuti. Voilà, è pronta.

Torta di mele

Torta di mele

 

Considerazioni finali

Seppur non visibili, questa ricetta è piena di minuscoli accorgimenti che la rendono speciale. Mo ve li dico:

– scelta delle mele: è imbarazzante andare al supermercato e vedere chilometri di ceste piene di quaranta tipi di mele diverse. Io ve ne indico solo una, la renetta. E’ dolce, di mede dimensioni, dalla pelle ruvida, porosa e giallastra, tendente al marrone chiaro. Risulta dolcina ma non troppo e soprattutto si scioglie molto in fretta.

– le pere: per esaltare il sapore pastoso della mela, ci serve qualcosa che la contrasti ed ecco arrivare in nostro aiuto una bella pera. Ho scelto la kaiser perché è molto farinosa, corposa nella dolcezza e poco compatta. Come la renetta, si scioglie facilmente e irrora tutta la torta del suo sapore. Fatene buon uso, potete anche non metterla se non vi piace. Comunque sia, provate sia con che senza, mi direte.

– i semini: il vero gioco forza della torta sta nel profumo che invaderà casa. Allora se dobbiamo fare le cose, che almeno siano fatte per bene. I semi di mela sono una vera bomba in questo caso, ne bastano pochissimi nell’impasto e tutto il condominio annuserà il piacere di una buona torta di mele. La casalinga che è in me già gongola.

– tempi di cottura: come dicevo prima, cuocere la frutta è difficile, ci vuole molto tempo e tanta pazienza affinché il resto dell’impasto non bruci. Perciò alcuni accorgimenti, come aumentare il diametro della tortiera, oppure tenere una temperatura del forno più bassa per tempi prolungati, coprire la superficie con della stagnola se vediamo che imbrunisce troppo in fretta, tagliare la frutta in pezzi molto piccoli prima di metterla nell’impasto; insomma, cose così.

– croccante e saporito: vi ho fatto mettere cannella e zucchero sulla superficie. Alla fine della cottura avrete una bella superficie caramellata, sufficientemente dura da fare un bel contrasto con la soffice pasta interna. Inoltre la cannella dà quel sottile retrogusto secco-amaro che sta bene con il dolce della mela.

Accompagnamento: tè affumicato

Mi piace pensare che il contrasto sia una chicca in cucina. Vi propongo perciò di bere un tè affumicato sul legno di qualche albero particolare, tipo l’albicocco, che tanto fa strano. In commercio non ne esistono in bustina, vi sfido perciò a trovare un rivenditore di tè sfusi, sicuramente lì ne troverete una variante.

Torta agli amaretti

5 Set

Come annunciato, questa è la ricetta di mia nonna Giuditta. E’ sostanzialmente un classico intramontabile, semplice, gustoso senza essere stomachevole. Ogni volta che mia nonna la cucinava per le feste patronali era un successo a Scaldasole.

Torta agli amaretti - Il protagonista

Torta agli amaretti – Il protagonista

Tempo: 80 minuti

Veloce, molto veloce. Anche i tempi di cottura sono ridotti. Vedrete.

Difficoltà: bassa

Come ogni torta classica che si rispetti, è semplice e rapida. Pochi ingredienti, questa volta arricchiti dal cioccolato e dagli amaretti.

Costo: medio-basso

Meno di una decina di ingredienti, tutti di facilissima reperibilità.

Ingredienti

– 150g di zucchero semolato

– 150g di farina tipo 00

– 100g di cioccolato fondente

– 200g di amaretti

– 4 uova

– 200g di burro a temperatura ambiente

– una bustina di lievito vanigliato

Cominciamo. Prendete il burro e tagliatelo a dadini. In verità potreste anche tagliarlo a pezzi grossolani, oppure pigliarlo intero ma anche intagliare il panetto a forma di panda; vi dico, più piccoli sono i pezzi e più facilità avrete nel lavorarlo. Unite lo zucchero e sbattete il composto fino a trasformarlo in crema. Separate ora i tuorli dagli albumi ed unite i primi al composto, uno alla volta, impegnandosi nel farli assorbire per bene dalla crema di burro. A questo punto sbriciolate gli amaretti e grattuggiate il cioccolato fondente. Certo, grattuggiare una tavoletta di cioccolato non è semplicissimo, vi si potrebbe squagliare in mano in due secondi. Poco male, troviamo il metodo alternativo: rompiamo la tavoletta in pezzi grossolani, prendiamo il coltello a lama sottile più grande che avete e, tenendo ferma la punta con il palmo della mano cominciamo a sminuzzare il cioccolato. Basteranno pochi secondi, se riuscite a non spargerlo fuori dal tagliere.

Torta agli amaretti - Gli ingredienti

Torta agli amaretti – Gli ingredienti

Uniamo il nuovo grattuggiato al composto assieme agli amaretti e mescoliamo per amalgamare. Il nuovo insieme sarà parecchio duro, lavoriamo di gran lena e prepariamoci ad avere un po’ di male alle braccia. Come se non bastasse, ora uniamo anche la farina setacciata. Possiamo lavorare il composto con le mani adesso, avrà la consistenza della pasta da biscotto. Per rendere più morbido il tutto, montiamo gli albumi a neve fermissima e mescoliamolo al composto. Non troppo forte o gli albumi di smonteranno.

Imburriamo una tortiera da 24cm di diametro (o 26, dipende da quanto la vogliamo alta), infariniamola, ficchiamoci dentro il composto, livelliamolo e mettiamolo in forno a 160° per una quarantina di minuti. La torta, una volta sfornata, va fatta raffreddare per bene.

Considerazioni finali

Facile vero? Non c’è nulla di complesso in questa preparazione. E’ semplice anche nella cottura, nessuna umidità

Torta agli amaretti - La fetta finale

Torta agli amaretti – La fetta finale

aggiuntiva rispetto a quella che c’è già in forno. Rimane piuttosto friabile, soprattutto la crosticina che si forma a cottura ultimata. Da servire rigorosamente per le occasioni tra buoni amici senza troppe pretese di raffinatezza. Mi rendo conto sia un dolce invernale, ma gli omaggi alle persone speciali non hanno davvero tempo.

Accompagnamento: malvasia

Un vino liquoroso molto saporito, che ben si accompagna alla dolcezza dell’impasto.

Inerzia e ripresa

8 Ago

Epifania! No, non la festa religiosa, intendo invece il senso letterale del termine; d’un tratto nel bel mezzo delle tue azioni ti accorgi di qualcosa che prima non era chiaro, un ribaltarsi della trama dei nostri pensieri, un sollevarsi di quella rete di abitudini sulla luce di un nuovo evento. Epifania vuol dire questo, svelare, rivelare, scoprire.

L’altro giorno passavo su di un cavalcavia vicino alla stazione dei treni. Al tramono la luce tagliava di netto sui cavi elettrici sospesi, sulle torrette di controllo decorate, sulle archeologie industriali che abbracciano i reticolati. Mi sono fermato per un attimo ad osservare il lento cammino dei binari che da un lato correvano verso le banchine della stazione mentre dall’altro si perdevano improvvisamente, incrociandosi, tracciando linee rette e curve sinuose fino ad un unico punto di fuga lontano, nero, preciso e definito contro l’azzurro cupo dell’orizzonte. Là il mio sguardo si è fermato e i pensieri l’hanno superato, ficcandosi proprio sui binari immaginari che non vedevo più e che potevo solo costruire nella mia testa. Mi sono accorto d’un tratto (epifania!) che una volta ero solito fare cose simili, fissarmi con gli occhi sull’orizzonte distante e immaginare cosa ci fosse al di là del visibile, immaginare me stesso altrove e non per un solo attimo ma per sempre, per ricominciare qualcosa altrove. Di conseguenza mi sono reso conto di aver ri-cominciato a farlo.

Da molti mesi non lascio Bologna, forse per il timore di perderla, di non riuscire a risalire sul treno in corsa che questa città ha sempre rappresentato per me; forse ancora è per il timore di cambiare nuovamente e di gettarmi verso l’inconnu, lo sconosciuto e l’incertezza che ad un 25enne dovrebbero portare curiosità, invece a me spaventano e basta. Certi dicono sia lo spirito dell’abitudine, il dolore sottile dell’inerzia che ti porta ad accettare situazioni poco piacevoli o stimolanti solo perchè siamo già abituati a viverle. Sottostare a queste regole è un male dolce quanto il nettare, è un male semplice e appagante, facciamo spallucce e ci ridestiamo nel caos che la pigrizia ci porta a creare. Mentre tutto cambia, noi rimaniamo uguali a noi stessi.

Oggi, dopo tanto tempo, vi propongo un dolce così, un eterno classico che possiamo cambiare a piacimento, per contrastare l’inerzia dell’abitudine ma senza stravolgere la tradizione degli eventi, chi siamo e cosa rappresentiamo a noi stessi.

TRECCIA SEMIDOLCE RIPIENA

Tempo: 4 ore

Non spaventatevi, la preparazione in sè dura meno di un’ora (sono stato largo, fare con calma è un piacere). A fare il grosso è la lievitazione che, come al solito, rallenterà le vostre azioni ancora di più. Rilassatevi e concedetevi attività alternative mentre aspettate che l’impasto cresca.

Difficoltà: 5 su 10

Nulla di estroso, l’impasto è semplice, basta una mano. La parte più difficile sta nel creare la treccia senza che il composto interno scivoli ovunque, non temete! Tutto verrà da sè.

Costo: medio-basso

Il numero di ingredienti è elevato ma nessuno di essi è particolarmente raro, niente così gonfiati quindi.

Ingredienti

– mezzo bicchiere d’acqua (va bene quella di rubinetto)

– un panetto di lievito di birra

– 550g di farina tipo 0

– 120g di burro morbido

– 120g di latte intero a temperatura ambiente

– 3 tuorli d’uovo

– 80g di zucchero semolato

– marmellata di amarene (gusto facoltativo)

– sale q.b.

Premessa: premuriamoci di togliere dal frigorifero il burro che ci serve, tagliamolo a cubetti e lasciamolo riposare in un luogo ben tiepido, poi vi spiegherò perché.

Prima di tutto dobbiamo preparare il cuore magmatico del nostro dolce, là dove i batteri si moltiplicano e fanno il lavoro sporco: il lievitino. Per i neofiti, tale primo “ingrediente” è il composto (solitamente semi-solido o liquido) contenente il lievito e che viene aggiunto al composto più corposo per i prodotti quali pani, pane brioche e prodotti da forno lievitati in genere. Viene fatto sostanzialmente per due ragioni: accertarsi che il lievito sia effettivamente attivo e, conseguenza, per dare maggiore forza di lievitazione all’intero impasto. Viene fatto ad esempio per il panettone, che è un tipico dolce che abbisogna di una forza di lievitazione immensa, per la grande quantità di farina e burro.

Insomma, il lievitino. Prendiamo l’acqua, rigorosamente a temperatura ambiente e sciogliamoci dentro un cucchiaino scarso di zucchero (contiene gli enzimi necessari alla lievitazione, può essere sostituito con del malto, ma credo lo zucchero sia leggermente più reperibile, ndr). Fatto ciò, sciogliamoci dentro per bene il panetto di lievito di birra e in ultimo aggiungiamo circa 140g di farina. Il composto finale dovrebbe risultare una palla abbastanza collosa, non spaventatevi se si attacca alle pareti, è normale, il glutine contenuto nella farina sta facendo il suo sporco lavoro. Lasciamolo riposare coperto da un panno umido per mezz’ora in un luogo caldo senza correnti d’aria (circa 25°, in poche parole mettetelo in cucina vicino al termosifone ma non troppo).

Mentre aspettiamo che il lievitino cresca di circa il doppio del suo volume iniziale, andiamo con l’impasto vero e proprio. Prendiamo il latte e sbattiamoci dentro i tuorli d’uovo, amalgamiamo per bene. Aggiungiamoci lo zucchero e sciogliamo di nuovo il tutto come si deve. A questo punto mettiamo la farina rimasta, otterremo infine un composto colloso e di un bel giallo paglierino. Ora viene il bello. Vi ricordate che il burro è stato tolto dal frigorifero ben prima di iniziare il processo? Ecco, dobbiamo ora aggiungerlo al composto con la farina e impastare almeno per una decina di minuti. Se avessimo usato del burro freddo credetemi, sarebbero stati necessari almeno 30 minuti (l’ho provato sulla mia pelle o meglio, sui muscoli delle mie braccia). In questo modo il burro si amalgamerà in fretta; alla fine otterrete un composto leggermente più chiaro, sarà pronto quando la palla si staccherà perfettamente dalle pareti della ciotola. A questo punto uniamo il lievitino (sarà passata mezz’ora circa) e uniamolo al tutto. Bene, adesso rimettiamolo nella ciotola e lasciamolo riposare un paio d’ore.

Che si fa in queste due ore? Non saprei, io di solito leggo (in questo caso cerco altre ricette interessanti). Potrei pure proporvi un libro interessante. Mi è stato regalato da un caro amico, P., questo volumetto di “memorie” scritto da Aldo Buzzi, un veterano del cinema nostrano e della letteratura (http://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Buzzi). L’uovo alla Kok (così si chiama il testo, edito da Adelphi) è concepito come una serie di piacevoli conversazioni fatte con un immaginario interlocutore, basate sostanzialmente sulle esperienze culinarie dell’autore, effettuate durante i suoi numerosi e singolari viaggi. Da Parigi all’Oriente passando per la Russia, Buzzi contempla con charme e un tocco di nostalgia le curiosità delle svariate cucine mondiali, senza mai cadere nel trito, nel vezzoso o nell’altezzoso. E’ sia un libro di cucina che sulla cucina, perché spesso le ricette che ci passano sotto il naso non sono altro che annotazioni raffazzonate, senza precisione e a volte con qualche digressione tutt’altro che culinaria. Piacevole, breve e curioso, soprattutto nell’accostamento di certi manuali di cucina.

Oh guarda, sono passate due ore, benissimo. Stendiamo la pasta che avrà triplicato il suo volume. Tagliamo sostanzialmente quattro lunghi serpentelli che ci premureremo di aprire con il mattarello fino a farli diventare della larghezza di 4-5 cm. Cerchiamo di essere il più uniformi possibile perché qui verrà la parte difficile. Facciamo scaldare un po’ la marmellata in un pentolino ma premuriamoci di non farla diventare troppo liquida, oppure colerà ovunque. Fatto ciò, con l’aiuto di un cucchiaino stendiamo sulle nostre strisce di pasta un po’ di marmellata su tutta la lunghezza, premurandoci di lasciare libere le estremità. Fatto ciò cerchiamo di chiuderle lungo la cerniera, facendo in modo che si crei un tubo di pasta e che il ripieno ci stia tranquillamente dentro. Il procedimento richiede un buon grado di attenzione e alcune premure nell’aver steso le strisce una vicina all’altra, perché una volta chiusi i tubolari, dovremo unirli per l’estremità superiore. L’obiettivo è quello di creare una treccia, sovrapponendo in senso orario ed antiorario le varie strisce. Si procede insomma a zig-zag, sovrapponendo la prima striscia alla seconda, poi sotto la terza e sopra la quarta. La nuova prima striscia subirà lo stesso procedimento finché non termineremo lo spazio disponibile, andando ad unire l’ultima estremità in un solo nodo. A questo punto solleviamo DELICATAMENTE per carità la treccia finale, posizioniamola sopra la carta da forno adagiata sulla teglia e creiamo una corona unendo le estremità del dolce. Spennelliamo infine con del burro fuso. La torta va infornata a 180° per 25 minuti circa. Ad ogni modo, controllate sempre, servite tiepida o fredda.

Treccia semi-dolce

Treccia semi-dolce

Considerazioni finali

Come abbiamo visto, il dolce è lineare nella preparazione quanto ostico nella composizione finale. Non lasciamoci scoraggiare dalle difficoltà della treccia, se il composto si travasa perché ci sono dei buchi poco male, avrà giusto un po’ di colore in più in superficie. Il composto di base è poco dolce, quasi neutro, quindi consiglio di usare delle farciture piuttosto decise nei sapori. Io ho usato la marmellata di amarene perché dà una nota amarognola di fondo che ben si adatta all’impasto secco; nulla vi vieta di sostituirla con una più dolce, oppure con del cioccolato (le sorelle Simili la confezionano sotto il nome di Torta Angelica, vi assicuro che è buonissima). Insomma, sbizzarritevi, è un classico della pasticceria semi-secca.

Accompagnamento: latte

Questo dolce è prettamente mattutino, sta benissimo con qualsiasi derivato da colazione all’italiana. Ho scelto il latte perché diciamocelo, inzuppata dentro è la morte sua. Provare per credere.

Infine, gli estremi del libro che abbiamo citato.

Aldo Buzzi – L’uovo alla KokPiccola Biblioteca n. 478 – Adelphi, Milano – 1979

Ciò che è stato dimenticato

29 Set

Nulla è più vivo nella memoria di ciò che è stato dimenticato.

Questa mattina mi sono svegliato presto e ho visto che la nebbia si era alzata dal mio sguardo. Luci differenti, più nitide, più sicure, meno tremolanti nei miei occhi. Mi sono alzato e ho sentito un peso diverso nei piedi, un baricentro più greve e più sicuro di sè. Ho camminato per la stanza, respiri più profondi e puliti, l’aria scivolava veloce dentro e fuori dai miei polmoni, senza intoppi. Mai fumato, non mangio pesante la sera, niente infiammazioni di gola ultimamente; eppure sentivo respiri diversi, più… saporiti.

Cos’è successo? La notte ha portato consiglio forse? Non so, non ricordo bene. E’ strano, non rammento quasi nulla del sonno trascorso ma sento che si sta sollevando un velo e ciò che è stato dimenticato torna a galla. Non ne riconosco le forme, vedo solo le sagome ancora indistinte di qualcosa che pian piano ritorna a passi lenti e strascicati.

Ho creato mattoni di pensieri, ho costruito muri con quei mattoni e ho assemblato stanze in cui risiedeva solo un pensiero incolore e insapore, un giudizio di me che non volevo accettare ma che in qualche modo pronunciavo con una certa ripetizione ed insolenza; ma la memoria ha fatto un altro percorso e alla fine ha stravolto i miei piani.

Gestalt, psicologia della forma. Per essere popolari quella che si esemplifica in quegli esperimenti grafici dove due profili identici e simmetrici si osservano frontalmente. Sembra un candelabro, invece se ti sforzi ci vedi due facce che si scrutano. Oppure la vecchietta in pelliccia che, se guardi meglio, è una giovane donna che osserva dietro di sè. Il processo che sta dietro questo apparente divertissement è una complessa ristrutturazione del proprio schema mentale, di come vediamo le cose. Quale capovolgimento ho portato avanti io? Perchè stamattina vedevo le cose in modo diverso? Deve essere successo qualcosa.

Infine realizzo. Realizzo che sono successe molte cose questa notte, che mi sono reso conto di un cambiamento che, in itinere, ha modificato la mia percezione delle cose. Prima di tutto capisco di aver sognato qualcosa di definitivo stanotte: ho lavorato a lungo, di buona lena e con un obiettivo davanti anche se tutt’ora sconosciuto. Avevo ben presente che c’era qualcosa da raggiungere e volevo arrivare al traguardo a tutti i costi. Associo automaticamente i miei sforzi di questi giorni nel cercare lavoro a tale impegno fisico e mi rendo conto che l’epifania sta nell’approccio deciso al raggiungimento dell’obiettivo e non nell’obiettivo stesso. Già un passo avanti.

Non sono solo nel mio lavoro, qualcuno m’aiuta in silenzio, siamo concordi che il gruppo è uno strumento più efficace rispetto all’impegno individuale. Un altro indizio: non posso sollevare il velo da solo, non sono capace e logisticamente non ne ho le forze, devo essere aiutato. Il singolo non funziona, ma posso sempre accordarmi nel darci una mano a vicenda. Svelato l’arcano: ci si deve muovere assieme per raggiungere risultati, per vedere qualcosa devo agire, solo poi avrò risposte.

Infine il sogno si conclude, il lavoro termina e il mio misterioso aiutante sillaba una frase definitiva, quella che risolve il puzzle e che fa meccanicamente combaciare gli ingranaggi. Non me la ricordo, però so che è stata catartica. Ecco sollevato il velo, l’ultima scintilla per fare luce e nitore sulla realtà. Per questo mi sono svegliato diverso, avevo in testa uno schema mentale più lucido e preciso, sapevo ciò che dovevo fare. Oggi ho portato avanti pensieri nuovi, un paio di azioni strategiche e una certa positività di intenti. I sedimenti dell’inconscio si sono mostrati, son sempre stati lì dopotutto.

Nulla è più vivo nella memoria di ciò che è stato dimenticato.

Vi servo una ricetta piena di ingredienti nascosti, per far affiorare pensieri diversi e sapori con origini differenti. Cosa abbiamo dimenticato? Cosa ci ricorderemo?

MUFFINS AL CIOCCOLATO E CUORE DI PERA

Tempo: 50 min.

Niente di difficoltoso, basta prepararsi gli ingredienti tagliati prima e unirli secondo la ricetta.

Difficoltà: 4 su 10

Come specificato per il tempo, la difficoltà sta solo nello sminuzzare i complementi in anticipo, il resto vien da sè.

Costo: medio

La componente di cioccolato è preponderante, così come la frutta è basilare per dare una nuance meno dolce. Se andiamo ad usare ingredienti di qualità (pere abate, cioccolato extra-fondente finissimo) ovviamente il costo si alza, ma il risultato sarà migliore.

Ingredienti

60g di burro a temperatura ambiente

125g di zucchero semolato

160g di farina tipo 0

un uovo

125ml di latte intero

sale q.b.

miele (un cucchiaino)

50g di cioccolato fondente

30g di cacao amaro in polvere

– una pera matura

– 100g di cioccolato bianco

– lievito per dolci

Prima di tutto sminuzziamo gli ingredienti che daranno sapore al composto: andiamo a creare delle scaglie (o quadrettini) di cioccolato bianco, meglio se grossolane (si scioglieranno nel forno). In seguito prepariamo la pera. Consiglio vivamente di utilizzare una varietà dalla polpa piuttosto compatta, come ad esempio le pere abate. Fate pezzi abbastanza grossi, che possano stare comodamente al centro di un pirottino da muffin. In forno la pera ha la straordinaria proprietà di sciogliersi e pervadere tutta la pasta con il suo dolcissimo sapore.

A questo punto passiamo alla pasta. Procedimento alquanto semplice e sbrigativo: unite il burro allo zucchero ed al cucchiaino di miele. Dovrete ottenere sbattendo (con un frustino è più che ottimale) una pomata soffice, alla quale va in seguito aggiunto l’uovo intero, che dovrà venir completamente assorbito dal composto. Risulterà una crema densa e giallastra, molto densa.

Facciamo sciogliere a parte a bagnomaria il cioccolato fondente, che dovrà risultare bello liquido. Andiamo ad unirlo al precedente composto, così che si formi una bella crema scura. Andiamo ora ad unire gli ingredienti secchi: uniamo perfettamente farina e lievito, versiamoli poco alla volta nel composto, possibilmente alternandoli al latte, così che non si formino grossi grumi (cosa che avverrebbe se decidessimo di sbatterci dentro interamente un ingrediente ed in seguito l’altro).

A questo punto non ci rimane altro da fare che unire il cacao. Setacciamolo un po’, così che non si formino grossi grumi. Potreste anche non setacciarlo, solo che in questo caso sarebbe meglio lavorare di buona lena per evitare pezzettoni di polvere in bocca una volta cotti i muffin. Il tocco finale: aggiungiamo al composto ottenuto le scaglie di cioccolato bianco e mescoliamo con l’aiuto di una spatola (o un cucchiaio di legno).

Prepariamo i pirottini: stendiamo un primo strato di composto sul fondo (massimo un centimetro), poi adagiamoci nel mezzo il pezzetto di pera. Se lo abbiamo fatto abbastanza grosso questo occuperà l’intero livello, lasciando qualche millimetro attorno a sè. Ricopriamo il tutto con un successivo strato di pasta, ricordandoci di non riempirlo fino all’orlo ma di lasciare almeno 5-6 millimetri dal bordo (gonfieranno, vedrete). E’ ora di infornarli per 25 minuti a 200°. Infine sfornateli ma lasciateli raffreddare senza toccarli, dovranno solidificarsi.

Considerazioni finali

Ricetta davvero semplice e d’impatto. La pera è un tocco di dolcezza che stempera la pesantezza dei due cioccolati. Il fondente sarà il sapore di base, il cioccolato bianco invece aiuterà ad addolcire la ricetta. I muffin gonfiano con una buona dose di umidità, quindi premuratevi che a) i liquidi siano sufficienti, non lesinate sul latte e b) nel peggiore dei casi mettete un pirottino d’alluminio mezzo pieno d’acqua nel forno vicino ai muffins.

Accompagnamento: passito

Ci vuole un vino zuccherino e abbastanza alcolico, che si sposi bene con la pera e il carattere decisamente dolce del muffin. Ricordate, in fatto di alcolici mai contrastare troppo la natura intima del dolce, piuttosto assecondatela. In questo caso prendiamo un vino cosiddetto “speciale”, che darà il giusto tono al piatto.

Convers(az)ione

24 Set

Torno, con un buco temporale di innumerevoli giorni ma torno.

Alla fine torniamo sempre nel luogo dove avevamo interrotto i rapporti con qualcuno (o qualcosa), anche quando questo spazio è virtuale. Mi sento un moderno Sherlock Holmes, armato in questo caso solo di deduzioni logiche e nessun copricapo ottocentesco.

Dove eravamo rimasti? Ah sì, avevo concluso un percorso introspettivo con qualche ricetta autunnale. Sono cadute altre foglie nel frattempo, la temperatura ambientale si è abbassata e con essa il mio umore s’è tinto di toni ovattati, freddi e poco vivaci. Periodo di assestamento e di recupero; soprattutto periodo di ricerca di lavoro. La cucina ha atteso fino ad ora.

Siamo passati dal calore estivo alla frizzantezza dell’aria autunnale. Conversione quindi, ribaltamento e ristrutturazione. Settembre, lo so, è un mese di transizione e so anche che presto finirà (i numeri mi danno ragione), quindi con esso anche questa apatia controproducente. Cosa mi trascina verso questo declivio ottobrino da montagne russe? Sarà presto, sarà prematuro, sarà sciocco, ma sono le feste in arrivo.

San Petronio (patrono di Bologna, forse non più festeggiabile grazie ad un governo così altruista da imporre una visione stakanovista del lavoro), il giorno dei Morti, il giorno della Madonna, Natale. Già, siamo appena alla fine di settembre (con mille impegni nel mezzo) e già immagino come sarà il menù natalizio. Mi piace pensare alle feste comandate, perchè volente o nolente, che si sbuffi o ci si allieti, sono l’unica vera occasione per creare un gruppo unito attorno alla tavola apparecchiata, a meno che non ci si imponga alle festività.

Io sfido questa saltuarietà di incontri cucinando e proponendo idee strategiche per attirare gente dal naso fino e dai gusti dolci. Altro che Sherlock Holmes, sembro più Josemite Sam contro Bugs Bunny. Una delle ricette base migliori è senz’altro il biscotto, meglio se minuscolo.

UNGHIE CANNELLA E ZENZERO

Tempo: 30 min.

I biscotti più semplici che mi possano venire in mente sono quelli in cui mescoli tutti gli ingredienti assieme (pochi ingredienti s’intende) e inforni. Senza ombra di dubbio questa ricetta rispecchia il modus descritto.

Difficoltà: 1 di 10

Non esiste difficoltà alcuna per questi biscottini, basta giusto qualche accortezza ma nient’altro. Vedrete.

Costo: infimo

Sì, non costerà quasi nulla, soprattutto perchè il 95% degli ingredienti, se non la loro totalità, sarà già nelle vostre dispense.

Ingredienti

– farina di tipo 00

– burro a temperatura ambiente (in quantità leggermente inferiori alla farina)

– tuorli d’uovo (uno ogni 70g di farina)

– zucchero semolato (1/2 del peso della farina)

– cannella in polvere q.b.

– zenzero in polvere q.b.

– vanillina

Ok, sarà una ricetta dannatamente facile. Unite il burro con la farina e lo zucchero. Una volta amalgamati aggiungete i due tuorli e mescolate nuovamente fino a completo assorbimento. Aggiungete in ultima istanza la vanillina, che servirà per darci un tocco più dolce al composto. Schiacciate, mescolate, premete, amalgamate con le mani, vi verrà di certo più facile e sarà di gran lunga più divertente che vedere un robot da cucina in movimento. Oltretutto le vostre mani sono una frusta perfetta per eccellenza. Lavorate a lungo, così che il grasso del burro si distribuisca e leghi per bene gli ingredienti.

Ora tocca all’aroma. Non ci sono dosi prestabilite, tuttavia vi consiglio di non esagerare troppo, rischiamo di coprire del tutto il sapore della vanillina e di far virare il biscotto sull’amaro (o sul piccante, se scegliamo di far prevalere lo zenzero). Indicativamente le dosi sono 1-2 cucchiaini di polvere di cannella e 1/2 di zenzer, ma potete variare a vostro piacimento. Potreste ad esempio dividere il composto in due parti e aromatizzare diversamente entrambi. Avremmo anche un bel gioco di colore. Insomma, ricordatevi di non superare i 2-3 cucchiaini totali di spezie.

La pasta ormai pronta va coperta ben bene con la pellicola trasparente e fatta riposare in frigorifero per un’ora. Daremo così il tempo al burro di compattare tutti gli ingredienti raffreddandosi.  Una volta pronta abbiamo due possibilità:

– se vogliamo un biscotto gonfio e compatto ci conviene creare i biscotti in fretta, così che in forno non si sgonfino allargandosi (se il burro ricomincia a fondere);

– se vogliamo il biscottino a forma di unghia (come ho fatto io), allora torniamo a lavorare la pasta per ammorbidirla un po’, poi infiliamola in un sac-à-poche senza beccucchio e armiamoci di forza di braccio. Il movimento è fondamentalmente questo: creiamo un cilindretto di 1 centimetro circa e premiamo con la tasca da pasticcere sull’estremità d’uscita, così che si riesca a staccare la pasta dandogli una forma ungulata. Continuiamo così fino ad esaurimento della pasta. Inforniamoli infine per 10-15 minuti a temperatura molto alta, sui 180-200 gradi. Controlliamoli costantemente, tendono a bruciarsi molto facilmente. Possiamo oltretutto decidere se anticipare la sfornata, in modo tale da lasciarli più morbidi all’interno. Ad ogni modo, una volta tolti dal forno vanno fatti riposare (senza staccarli dalla teglia) e raffreddare, così che si possano compattare e rassodare per bene.

Metteteli in una ciotolina, sono piccoli ed invitanti.

Considerazioni finali

Come avete potuto capire, la ricetta è di una facilità estrema, non serve nemmeno tantissima manualità, basta qualche accorgimento e un minimo di pazienza. Praticamente ci si mette più tempo ad aspettare che si cuociano in forno che a prepararli. Sono leggeri, speziati, si sciolgono in bocca per l’alta quantità di burro. La base è il classico frollino, io ho aggiunto queste spezie ma non ci vuole nulla ad insaporirli con altre cose, anche meno dolci della cannella. Mai provato con il rosmarino?

è nero Darjeeling Oolong

Qui andiamo sul tecnico. Indubbiamente lo sposalizio perfetto è con una bevanda calda e tradizionalmente dei periodi freddi dell’anno. Ho scelto un tè nero particolarmente amaro, che ben contrasta con il dolcissimo biscotto. Si tratta di una miscela indiana, a foglie piccole, dal sapore molto intenso. La qualità Oolong definisce i tè ad affumicatura media, quindi non completa, lasciando un leggero retrogusto naturale di foglia. Infusione fra i 3 e i 3,5 minuti, a seconda del gusto tannico che vogliamo in bocca.

Il peso specifico del tempo

10 Set

Ricordo che da piccolo sfogliavo abbastanza spesso un libro dedicato alle tradizioni popolari, ai modi di dire e all’attività contadina. Di tutte quelle parole in dialetto, figure acquerellate di donne chine sui campi e disegni di spighe di grano e riso, mi è rimasta impressa solo la deduzione (fatta a posteriori, in età post-adolescenziale) che quei simpatici signorotti, dei quali faccio parte anche io, avevano un rapporto di amore e odio con il tempo. Non intendo il Tempo con la maiuscola, l’entità potente che regola la Storia (altra entità minacciosa), ma il tempo, quello a medio termine dei mesi che compongono gli anni e le azioni che bene o male i contadini erano costretti a intraprendere per sopravvivere (in questo caso sì, al Tempo). Ricordo certe raffigurazioni di personalità con decine di oggetti tra le mani e ognuna di quelle brave persone con la cuffietta in testa e le palandrane morbide aveva uno sguardo consapevole, come se avesse ben presente il perchè di così tante suppellettili. La didascalia di una di queste recitava Settembre. Allora io mi chiedevo, ma che razza di gioco è questo? Perchè mai dovrebbero raffigurare dei mesi, che sono puro tempo, cioè una cosa invisibile, come delle persone in carne ed ossa? Alla fine ho capito che queste raffigurazioni rappresentano ciò che vogliamo proteggere di quel mese, ciò che coltiviamo, quello che facciamo di tipico e forse anche un po’ ripetitivo. Rassicurante ciclo di vita del prodotto.

Appunto, Settembre. Ercole de’ Roberti nel Salone dei Mesi di Schifanoia (Ferrara) raffigura questo mese come un uomo agghindato con una veste dalle pieghe geometriche, spigolose e taglienti, perfetti giochi di luce. Le tre decadi sono personaggi bizzarri (ma anche il trionfo di Vulcano, un carro trainato da scimmie), tra le quali spunta un suonatore di tromba. No, io penso che se davvero Settembre fosse un musicista sarebbe un suonatore di flauto, uno di quegli indiani incantatori di serpi. Ho sempre subito il fascino di questo mese, perchè per me è in questi trenta giorni che il tempo (o il Tempo?) si rende visibile. Di tutti i mesi possibili, questo ha il potere di far rapprendere i secondi, raggrumarli in grosse gocce pesanti che cadono a terra duri come perle e lì rimangono, rischiano di farmi scivolare ad ogni passo. Per questo posso dire che, sin da piccolo, ho subito il suo fascino, odiandolo anche un po’.

Dopo i sei anni ha scandito (soprattutto la prima decade) il tempo della scuola, croce e delizia di chi termina una lunga vacanza: il diario da comprare, le matite da appuntire, i compiti da finire. Agrodolce, non c’è che dire, un misto di trepidante attesa e di insofferenza da relax. Settembre poi è stato il mese dell’inizio di ogni anno accademico, la ripresa degli studi e qualche volta, la burocrazia delle borse di studio, degli affitti e delle spese autunnali. Ora è il periodo del risveglio lavorativo, della ricerca di impiego, dei saldi e delle nuove collezioni di abiti. Ad accompagnarmi per tutta la vita invece è il senso del freddo che ritorna, dei tessuti che si fanno più pesanti, dell’umidità che torna e di quel malefico quartetto d’archi dei mesi che terminano in -bre e che tingono di ocra e poi di grigio i palazzi.

Insomma, maledetto Settembre che fa palesare davanti ai miei occhi le responsabilità della vita adulta e che mi fa sorridere a denti stretti. Maledetto Settembre che hai sostituito di diritto Gennaio quando devo associare un mese al termine “inizio dell’anno”; e maledetto Settembre che continui ad incantarmi con le tue moine da mese di transizione. Saluterò la stagione a modo mio.

CROSTATINA DI FROLLA MONTATA CON CONFETTURA DI PESCHE

Tempo: 110 min.

Classica crostata di rapida preparazione. Cercate di avere subito a disposizione della confettura adatta e la difficoltà si riduce alla preparazione della frolla.

Difficoltà: 3 di 10

Facile, anzi, facilissima ricetta. Non dovrete fare altro che mescolare, stendere, riempire, infornare.

Costo: basso

Ricetta di impatto, sfiziosa e facilmente trasportabile. Costerà qualcosa la marmellata (se non la fate voi e quella si conserva bene anche d’inverno, ndr) ma il resto è tutto ingredienti di base.

Ingredienti

– farina tipo 00

– burro a temperatura ambiente (2/3 del peso della farina)

– zucchero a velo (poco più di 1/3 del peso della farina)

– uova (1/5 del peso della farina)

– buccia di limone grattuggiata

– pizzico di sale
Cominciamo preparando la base di pasta frolla. Checchè se ne dica, esistono una miriade di procedimenti diversi per fare la frolla, a seconda del suo utilizzo: se la vogliamo più friabile, se la vogliamo più compatta, se deve sciogliersi in bocca, se deve fare da fondo, se vogliamo farci dei biscotti, eccetera. Inoltre esistono proprio dei procedimenti completamente invertiti l’uno dall’altra per ottenere impasti differenti: c’è chi crea la base “sabbiosa” (farina, zucchero e burro tritati grossolanamente e mescolati a mano senza amalgamarli), chi invece la vuole più morbida (mescolare le uova con il burro prima e aggiungere farina e zucchero in seguito). Noi vogliamo ottenere il composto più soffice, che stenderemo usando un sac-à-poche: sto parlando della cosiddetta frolla montata.

La procedura è la seguente: con l’aiuto di un frullino o di un robot da cucina mescoliamo il burro con lo zucchero a velo e la buccia di limone, fino ad ottenere una pomata. Sempre mescolando, incorporiamo un uovo alla volta, avendo cura di inserire il successivo solo a completo assorbimento del precedente. Continuiamo così fino a che il composto non si gonfia leggermente (e classicamente cambia colore, andando verso un bel giallo paglierino). A completo assorbimento, togliamo il composto dal robot e setacciamoci dentro la farina che mescoleremo con l’aiuto di un cucchiaio di legno. Quando il tutto sarà ben amalgamato, poniamolo all’interno del sac-à-poche. Ora, possiamo usare la bocca che desideriamo, per creare forme a nostro piacimento. Consiglio una bella apertura a stella, che fornira anche delle pieghe per la confettura. Su una piastra da forno (o leccarda, nome tecnico della placca) andiamo a creare una bella spirale tonda, così che si formi una base compatta più o meno di 8-10 cm di diametro. Su questa base creiamo un bordo con un altro giro di pasta frolla montata. Riponiamo il risultato in frigorifero per farlo indurire un po’ (ricordate che il burro si scioglie facilmente), diciamo per una quarantina di minuti. Inforniamo la base per 10-15 minuti a 180°, tanto da farla dorare leggermente.

Riposiamoci mentre aspettiamo che si cuocia la frolla, ponderiamo sulla meraviglia che quattro ingredienti mescolati in proporzioni diverse possono creare. Ecco, Settembre volente o nolente segue il fascino della frolla. Tra le foglie che cadono, il freddo che torna e una mistura ben congegnata di ricordi possiamo dire che dopotutto stiamo iniziando un altro anno (accademico, lavorativo, scolastico). Le briciole friabili della pasta sono un po’ come quelle foglie che cadono, poi siamo noi a dare il sapore che vogliamo al contenuto. Inoltre Settembre è il mese della bilancia, mica solo come segno zodiacale! Questo dolce è un richiamo voluttuoso alla pesa persone, ha lo stesso fascino della musa Euterpe e dei suoi malefici strumenti musicali. Altro che piffero indiano! Qui… ah, è pronta la frolla.

Estraiamo la base dal forno, lasciamola raffreddare per bene e poi farciamola di confettura. Se vogliamo (e ne abbiamo avuto l’accortezza), possiamo usare la frolla avanzata per fare qualche piccola decorazione che cuoceremo a parte (una rosellina, un fiore, un cerchietto, qualche pallina, delle S, quel che volete insomma) e che poseremo a nostro piacimento sulla marmellata. Direi che è pronta.

Considerazioni finali

La frolla ha un fascino irresistibile secondo me, nonchè un apporto calorico da urlo. Facciamo delle crostatine piccole piccole, che oltretutto sono facilmente trasportabili e di sicuro impatto se dobbiamo offrirle. Io ho deciso di usare la confettura di pesche perchè sono un ottimo frutto che ricorda il mese di Agosto e che possiamo portarci dietro per i mesi successivi, grazie anche al suo colore caldo e allegro. Inoltre si sposa maledettamente bene con la pasta frolla ed è un classico della pasticceria secca da crostata. Giallo e arancione poi sono davvero una bella accoppiata. Nulla toglie che possiate usare marmellate diverse, anche quelle di agrumi che con la loro asprezza contrastano bene con la dolcissima base.

Accompagnamento: yogurt intero

Sì, creiamo un ulteriore contrasto. Dolce+dolce della pasticceria e l’asprigno dello yogurt bianco possono stare bene. Inoltre croccantezza e cremosità sono un’altra accoppiata vincente. Non usate un vasetto intero, ne basta un cucchiaio colmo da assaporare alla fine del dolce, per riequilibrare i sapori sul palato. Se volete un plus, trasformate questo elemento in spuma, montando due parti di panna fresca e una di yogurt (aiutatevi posandola sul cucchiaio ancora una volta, è d’effetto).