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Brunch domenicale

8 Lug

Ci sono momenti dell’anno in cui la pianificazione assume, per assurdo, contorni definiti solo durante il fine settimana. Sì, le ferie mi vedono molto più spesso organizzatore del weekend piuttosto che della settimana, tanto lo so che lavorano tutti. Ebbene, domenica scorsa ho deciso assieme a tre amici di lanciarmi e provare con loro un posto nuovo. Avevo voglia di brunch e via Saragozza ha scelto per me, portando alla mente il ricordo di un bar che avevo intravisto tempo addietro. Qualcuno vuole fare colazione, qualcuno vuole mangiare salato, qualcuno vuole fare brunch.

Saragoza 145, questo il nome del locale, è un wine bar che si trova su via Saragozza a Bologna, poco fuori porta. Dai viali ci si inerpica sulla leggera salita porticata che costeggia la via; si guardano le vetrine dei negozi, si passeggia all’ombra, si osserva la Bologna bene che abita nei quartieri alti e meno di 10 minuti dopo si arriva a questo locale con qualche tavolino di fuori, in ferro lavorato. Una bella lavagnetta ci aggiorna sul fatto che sì, è domenica e sì, siamo in orario da brunch.

A me sembra una casa privata!

A me sembra una casa privata!

Decidiamo di sederci dentro, nonostante sembra faccia caldo, apparentemente. Che dire, smentito: due locali spezzati dalla cucina, un piccolo corridoio unisce le sale principali, massimo 35 coperti. Pareti quasi del tutto spoglie, un buon grigio scuro, tavoli in legno grezzo di recupero, sedie alcune di legno e alcune di metallo lavorato. Ci sono poche finestre ma danno tutte su folti alberi che coprono i palazzi bassi appena dietro. Non solo fuori, anche dentro ci sono due alberi su un lato corto. Lampadari bassi, coperti da paralumi in tela bianca, altissimi. Vento, tanto vento fresco che accompagna una musica soft da lounge bar.

Ci sediamo e ci raccontano la formula: 15€ comprensivi di buffet e una bevanda a scelta tra acqua, succo d’arancia o caffè. Il buffet: il salato impera e su di esso prevalgono le spezie. Molte, moltissime varianti, prevalentemente fredde, che andavano dalla torta salata all’insalata di pollo al curry con mandorle. Verdure miste saltate con i semi di sesamo, mix di riso e verdure, pane alle olive, grissini con farina di mais, salsiccia panata con qualche seme misto aromatico. Ci stavano persino i gamberi.

Che dire poi del dolce: decisamente più defilato del salato ma altrettanto interessante. Pochi sapori esotici, dove il salato imperava invece, piuttosto incentrati sull’italian style. Cornetti dolci, marmellate Rigoni di Asiago, diversi tipi di miele, budino alla vaniglia con fragole. Qualche cupcake non troppo pastoso ma abbastanza pesante, soprattutto per chi come me si è ingozzato prima.

Poca gente, niente chiasso nemmeno dal piatto, rigorosamente in carta riciclata con posate di legno. Niente tovaglie, solo tovagliette tonde ben intonate con i tavoli, colori poco appariscenti, sui toni del rosso, bordeaux e nero. Intimo il locale, riservata la cucina: a vista, grazie a un pertugio rettangolare su tutta la lunghezza della stanza, come a dire “ci siamo, lavoriamo ma non vi diamo fastidio”.

Quando vado in un locale poi faccio sempre caso al bagno. In questo caso era ben pulito, piccolo ma non claustrofobico, anche in questo caso sono state fatte alcune scelte di design pure per i sanitari senza però gettarsi nel qualunquismo alla Ginori. Dai, promosso.

Note di merito:

– toni scuri, rilassanti

– cucina salata ben variegata

– posizione defilata, lontana dal caos cittadino

– immagine ben convogliata

Potrebbe andare meglio:

– musica meno lounge, volume più basso

– un po’ più varietà nel dolce

– bevande poco interessanti incluse nel prezzo

– sito internet poco aggiornato

Adesso qualche contatto, giusto per andare a trovarli.

Saragoza 145, via Saragozza 145 – Bologna

Sito internet: http://www.saragoza145.it

Facebook: Saragoza145

Fare la guerra è un po’ come fare l’amore

28 Ago

Recentemente sono stato protagonista di un intimo e tacito scambio di battute tra un ricordo ed il libro che sto leggendo. E’ una singolare esperienza che capita probabilmente per casi fortuiti ed inaspettati; oltretutto non è la prima volta che noto certe assonanze momentanee.

A metà agosto ho trascorso una rilassante settimana in Salento: spiagge rocciose, vento caldo e umido, vegetazione lussureggiante. Non mi dilungherò sulla descrizione di un piccolo paradiso a pochi passi da casa. Dico pochi passi per chi decide di sorvolare la penisola per scendere sul tacco del nostro Stivale. Io invece, che mi accompagno ad amici masochisti, ho attraversato l’intera penisola in automobile. Sarà che non guido molto spesso, ma non soffro affatto i lunghi viaggi su quattro ruote, mi dà il tempo per pensare a molte cose e, in questo caso, di leggere. Ho avuto il mio folgorante incontro con l’attuale testo (in questo momento comodamente posato sul divano) a Lecce, poco prima del ritorno. Complici la piacevolezza del clima temperato, le architetture a misura d’uomo, l’atmosfera nostalgica del tufo logorato dal tempo e una piccola libreria, compatta e colorata. Sensibile e ricettivo a qualsiasi sentimento positivo, ricevo il caldo consiglio di un amico a proposito di questo singolare esempio di “memorie” di cucina afrodisiaca, scritto da Isabel Allende. Afrodita si chiama, una copertina candida, edizioni economiche, prezzo ridotto. Detto fatto: lo acquisto e lo metto in borsa, so che le innumerevoli ore di viaggio mi spingeranno a sfogliarlo.

Verso Pescara (ancora troppo vicini al mare per poter sospirare sui ricordi della vacanza) mi sono imbattuto in alcune pagine dedicate al singolare argomento dell’orgia. La Allende ripercorre storicamente le abitudini dei nostri antenati, legandole strettamente al cibo. Così pare che Antichi Greci e Romani fossero particolarmente volubili al potere afrodisiaco di carni profumate al miele, frutta fresca e leccornie dolci proveniente dalle province più lontane dell’Impero. Di più: i commensali erano liberi di dare letteralmente sfogo alle pulsioni sessuali durante questi incontri. Non a caso i baccanali erano considerati vere e proprie orge di cibo, danze e ormoni. Insomma, a quanto pare i peccati capitali tanto demonizzati dalla religione cattolica sono sei e non sette: gola e lussuria sembrerebbero essere (o essere stati) un tutt’uno.

Cambio di scena. Qualche giorno fa ho avuto modo di tornare in terra natia per salutare la famiglia: la cucina del Pavese e del suo Oltrepò (famoso per i vini bianchi e gli spumanti) è un curioso incontro fra cacciagione e prodotti della terra, con il riso e le sue varietà a fare da sfondo. I piatti cosiddetti poveri si sono trasformati col tempo in gustose portate “della tradizione”: animali da pollaio (polli, galline) e da cacciagione (fagiani, lepri, conigli), ma anche pesci di fiume (storione) e rane, tante rane. Non solo, l’oca fa da padrona in tantissime ricette (anche nel risotto, e poi patè, fegatini, ciccioli), assieme al maiale (pancette, sanguinacci, salame di Varzi). Il riso compare anche fra i dolci (torta di farina di riso) e celebri sono le offelle di Parona, morbide tanto da sciogliersi ancor prima di toccare la lingua. Ebbene, un esempio della cucina pavese mi è stato presentato presso il ristorante Stazione di Salice Terme, a pochi km da Pavia. Una cena calda, semplice e non pretenziosa. Piatti tipici con prodotti a km zero. Ambiente silenzioso ricavato appunto dalla vecchia stazione ferroviaria della linea Varzi-Voghera (ora non più in funzione), i tavoli direttamente posizionati sulla banchina e sui vecchi binari ormai coperti. Troppo restauro per i miei gusti, peccato. Tra il secondo ed il dolce il discorso verte sul mio viaggio verso il sud… e salta fuori un ricordo.

Pare che un’amica di uno dei commensali venne invitata tempo fa assieme al marito al matrimonio di una ragazza. Meta: la Sicilia (non ricordo il luogo esatto). Cerimonia calda, molti invitati, decorazioni opulente, tanti fiori: insomma, un matrimonio a regola d’arte come la tradizione esige. Il pranzo che seguì fu altrettanto ricco e prodigo di prodotti tipici, servito su terrazze assolate, fra le chiacchiere di parenti ed amici. Tavolate piene di colori, elaborate paste, pesce iridescente, dolci zuccherosi, frutta turgida e lucida. Non è difficile immaginare la convivialità e il calore solare, la luce naturale ed il senso di pace che una simile atmosfera può indurre. Ovviamente la protagonista ma si sarebbe aspettata la battaglia a suon di cibo che cominciò a fine pranzo. Innumerevoli bacili di cibo (avanzato) vennero riversati sui commensali, urlanti e sgambettanti. Uva gettata sulla sposa, carni lanciate allo sposo, sozzure, macchie, liquidi colanti sui corpi degli astanti. Mezza anguria schiacciata sulla testa della suocera della sposa, ruotata e svuotata dei suoi semini. Spavento, terrore, orrore e schifo? Tutt’altro, solo molte risate, divertimento spensierato e qualche vestito della festa rovinato. Unica nota negativa in questo caso sarebbe lo spreco e la tristezza di vedere tutto quel ben di dio spappolato a terra e sulla tovaglia.

Ebbene, ascoltando questo racconto non ho mai smesso di pensare alle analogie lette sul testo di Isabel Allende. Una battaglia di cibo può essere considerata un’ottima sublimazione del sesso? A mio parere sì, anzi, più che una sublimazione è un’allusione molto potente. Ancor di più nel caso di uno scambio così violento si potrebbe quasi parlare di esorcismo orgiastico, esortazione alla conoscenza biblica fra più persone nello stesso momento. Lordarsi degli umori scaturiti dalla frutta sarebbe quindi un po’ come insozzarsi di altrettanti umori sessuali. Un scontro dolce e vivace, al limite della volgarità e della malizia, avvalorato dal fatto che i commensali tutto sommato si sono divertiti parecchio nel lanciarsi cibo addosso e uscire dagli schemi rigidi della convivenza sociale. Tornare piccoli e innocenti, incontrarsi, scontrarsi, gridare, rincorrersi e colpirsi. Catarsi fisica e attrazione contagiosa. Lo stesso brivido che percorre le persone i cui sguardi si incontrano complici passa anche attraverso il contatto “sporco”. Fare la guerra alla fine è un po’ come fare l’amore e il cibo è il nostro sangue versato.

Concludo il post consigliandovi i due estremi del mio pensiero, il testo e il ristorante.

Isabel Allende, Afrodita. Racconti, ricette e altri afrodisiaci, Universale Economica Feltrinelli, 1997 – costo 10 €

La Stazione di Salice, via Diviani 5/7, Salice Terme (PV) – http://www.lastazionedisalice.it – prezzo medio menù completo 35 €